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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2014 alle ore 07:56.
L'ultima modifica è del 02 luglio 2014 alle ore 08:12.

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Da candidato prima e premier poi Matteo Renzi si è distinto per il coraggio (alcuni la chiamano spavalderia) delle sue posizioni. Più che di coraggio, però, si è trattato di una strategia finora vincente. Invece dei tradizionali compromessi, ha tenuto sotto scacco gli avversari facendo leva su un consenso che lui, meglio di ogni altro, sa raccogliere.

Lo ha fatto anche nel discorso della fiducia al Senato, in cui ha parlato direttamente agli italiani. Con il Consiglio europeo della scorsa settimana e oggi con l'inizio del semestre europeo Renzi si trova a dover discutere e competere a un altro livello. Non solo perché di fronte non si trova un rivale qualsiasi, ma politici di primo livello come Angela Merkel, ma soprattutto perché non può replicare in Europa la strategia vincente in Italia. Non lo può fare per mancanza di un popolo comune a cui appellarsi. Non è possibile per il nostro presidente del Consiglio appellarsi direttamente ai tedeschi, ai francesi, agli spagnoli, perché il mercato politico è ancora frammentato. I socialdemocratici tedeschi sono tedeschi prima e socialdemocratici poi, e lo stesso vale per i socialisti francesi.
Il rischio maggiore è di vedere un Renzi cauto. Non sarebbe un bene per l'Europa, che ha bisogno di uno scossone altrettanto grosso dell'Italia. E non sarebbe un bene per Renzi, che vedrebbe ridimensionata la propria immagine anche in patria, prima ancora di poter assicurarsi una solida maggioranza in Parlamento. Come può Renzi fare il Renzi in Europa?

La prima regola è non giocare la partita che hanno giocato finora i premier italiani: pietire un po' di flessibilità sui vincoli di bilancio in cambio di un impegno a fare le riforme che ci chiede l'Europa. Non solo è una battaglia persa: è una battaglia sbagliata. Come ha già detto il premier, l'Italia deve fare le riforme Europa o no. Ma soprattutto perché dovremmo pietire per avere il permesso di stingerci maggiormente il cappio intorno al collo? L'Italia ha troppo debito. Un debito che difficilmente è sostenibile anche a questi tassi di interesse. Se poi i tassi dovessero aumentare, l'insostenibilità sarebbe certa. Per ridurre questo debito, il governo sta giustamente pensando di privatizzare. Ma a che serve privatizzare da un lato quando si aumenta il debito dall'altro? L'ultima cosa di cui il nostro Paese ha bisogno è di emettere nuovo debito per sostenere faraoniche opere pubbliche che poi si traducono (Expo e Mose docent) in corruzione e sprechi.

Se Renzi vuole sparigliare il gioco deve lanciare una proposta radicale, che spiazzi le vecchie logiche europee e permetta il formarsi di una nuova coalizione. Non potendosi appellare direttamente al popolo, deve cavalcare delle idee forti. La prima è che l'euro così come è stato strutturato non è sostenibile. Non lo dico solo io, lo dice la teoria economica. Per renderlo sostenibile non basta l'unione bancaria, ma occorre una qualche forma di redistribuzione fiscale, che attenui l'effetto negativo di shock regionali, che non possono essere compensati da una variazione del tasso di cambio.
Ovviamente ai tedeschi non piace sentire la parola redistribuzione, perché temono di essere loro i principali donatori. Tuttavia la loro difesa è stata facilitata dalla natura delle proposte avanzate finora: destinate a trasferire sempre dalNord al Sud, aggravando il problema invece di risolverlo. È questo il caso degli Eurobond, che avrebbero incentivato i paesi del Sud Europa a indebitarsi maggiormente in futuro, facendo rapidamente esplodere la dimensione dei trasferimenti.

Renzi ha bisogno di una proposta diversa, come quella di un'assicurazione europea contro la disoccupazione. Questa proposta non avrebbe nessuno di due sopraccitati difetti. Nel 2006 la disoccupazione era più elevata in Germania che in Spagna e Italia. Se ci fosse stata un'assicurazione europea contro la disoccupazione, il trasferimento sarebbe stato dal Sud al Nord e non viceversa. Quindi non si tratta di un trasferimento unidirezionale. In secondo luogo, un'assicurazione europea contro la disoccupazione non induce i governi a deficit maggiori. Anzi, riduce le spese in assistenza durante una crisi. L'unico rischio sarebbe quello di ridurre gli incentivi di un disoccupato a trovarsi un lavoro. Ma sussidi di questo tipo esistono nella maggior parte dei paesi europei, e quindi il costo addizionale sarebbe pressoché nullo. Se poi i tedeschi non si fidano di un sussidio amministrato dagli italiani, che vengano loro a supervisionarlo, come d'altra parte già prevede la disciplina della supervisione bancaria europea.

Il vantaggio di un sussidio di questo tipo sarebbe duplice: permetterebbe ai paesi affetti da una crisi di non dover effettuare manovre restrittive per evitare l'esplosione del deficit e ai paesi che necessitano di riforme di farle senza ingenerare una rivolta sociale. Già le riforme sono penose, senza alcun aiuto diventano insopportabili. Sarebbe come togliersi un dente senza anestesia. La risposta iniziale dei tedeschi sarebbe che loro nei primi anni 2000 hanno fatto le riforme senza l'aiuto di nessuno. Ma si tratterebbe di un errore economico e politico. I pesanti deficit commerciali del Sud d'Europa hanno rappresentato un forma di aiuto del Sud d'Europa alla ristrutturazione tedesca. Purtroppo quando ad avere bisogno dell'aiuto è il Sud, per la Germania non vale il principio della reciprocità. Se perfino i socialdemocratici tedeschi si opponessero a questa idea, si prenderebbero la responsabilità politica di far fallire l'euro. Con l'appoggio garantito dei socialisti francesi (nei giorni scorsi il Tesoro francese ha lanciato una proposta simile) e quello interessato degli altri governi del Sud d'Europa, una proposta di questo tipo avrebbe il vantaggio di isolare la Merkel. Certo potrebbe arroccarsi su posizioni intransigenti. Ma non potrebbe farlo dall'alto di una posizione economicamente corretta e moralmente giustificabile (come quella di cui gode oggi), bensì solo dal basso di una posizione senza giustificazioni economiche o morali.

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