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Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2014 alle ore 08:24.
L'ultima modifica è del 03 luglio 2014 alle ore 08:39.

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Si chiama ipertrofia parametrica. È l'emergenza burocratica del sistema universitario. Si basa sulla pretesa di poter sostituire la trasparenza e la responsabilità dei processi decisionali con indicatori, mediane e parametri, e di poter tradurre obiettivi di governo degli atenei in numeri e fogli Excel. La IP è di natura «benigna» perché motivata dalla necessità di accrescere la accountability del sistema universitario cioè la possibilità di misurare e verificare l'uso delle risorse pubbliche.

È pensata «a fin di bene», ma non è detto che faccia bene, aggravata dallo sviluppo degli strumenti informatici che, invece di renderla più facile da curare, l'hanno resa più insaziabile.
Qualche esempio. Il DM 47/2013 successive modifiche prescrive almeno 9 docenti di riferimento per la attivazione di una triennale, e almeno 6 per una magistrale (un docente può insegnare in molti corsi di studio diversi). Il numero sale a 12 per alcune classi di laurea in funzione del numero di studenti. Per un corso di dottorato di ricerca, dice il DM 45/2013, bisogna avere almeno 16 docenti, ma non basta. Servono almeno 200.000€ (4 borse di studio), e comunque in media almeno 300.000 € (6 borse di studio) per dottorato attivato da una università. Prescrizione numerica, indipendente dal contenuto. La abilitazione scientifica nazionale (quella ASN su cui si sono abbattuti ormai un migliaio di ricorsi) si è basata - almeno come principio - sul superamento di mediane di produttività calibrate sulla produzione media nazionale dei ricercatori nei diversi settori. E qui si raggiungono cime tempestose: quale altro paese ha bisogno di 370 settori scientifico disciplinari, raggruppati in 14 aree, ormai diventate 16, per descrivere, reclutare e promuovere il suo corpo docente?

Senza dimenticare la valutazione della qualità della ricerca, VQR, che è stata basata sulla valutazione di 3 pubblicazioni in 7 anni per ciascun docente (indipendentemente dalla tipo di pubblicazioni, se libri o articoli, e dalla produttività). Mentre è stata da poco avviata la sperimentazione per la scheda unica annuale della ricerca dipartimentale (SUA-RD) che dovrà raccogliere informazioni su programmi di ricerca, finanziamenti, brevetti, premi, ecc. di tutti i dipartimenti universitari.
Non c'è nulla di male nel raccogliere in maniera organizzata e comparabile i dati della attività di ricerca e didattica degli atenei. Anzi, alla buon'ora! Una robusta base di dati è essenziale per qualsiasi attività programmatoria e di assegnazione delle risorse (semmai ci porremo il problema del costo di queste operazioni a fronte dei tagli costanti di risorse). I problemi veri nascono quando la numerologia si sostituisce alla responsabilità, quando diventa essa stessa governo. Da strumento diventa fine. Perché ?

La IP è il risultato dell'ibridazione tra la necessità di delineare in maniera palese e misurabile gli obiettivi di gestione degli atenei e la cronica abitudine a iper-normare la vita amministrativa. L'eccesso normativo, che si traduce in pletore di regolamenti ecc., genera eccesso parametrico. Sia l'uno sia l'altro portano dentro il germe del loro fallimento: più norme scriviamo, più numeri raccogliamo, più appigli forniamo per rilievi formali e ricorsi che paralizzano il sistema e terrorizzano le amministrazioni. Siamo o non siamo il paese dell'Azzecca-garbugli?
Eccessi parametrici, richieste ripetute di dati, interfacce user unfriendly ottengono il duplice risultato di scoraggiare i più determinati, quelli convinti - e sono tanti - che l'amministrazione vada sostenuta perché la struttura deve funzionare, e di fornire un ottimo alibi a quanti - e anche questi sono tanti - sono rimasti legati a una idea di amministrazione «al servizio» del personale docente. Se l'obiettivo è quello di rendere più efficiente, misurabile ecc. il governo delle risorse bisogna che la IP sia affrontata per il suo impatto sul singolo amministrato, ricordando che tutto il tempo richiesto per «fare burocrazia», anche quella benigna, è sottratto alla attività fondante l'università: produrre e trasferire conoscenza mediante ricerca e insegnamento.
Dario Braga è prorettore alla Ricerca dell'Università di Bologna

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