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Questo articolo è stato pubblicato il 07 luglio 2014 alle ore 07:25.
L'ultima modifica è del 07 luglio 2014 alle ore 07:45.

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Il 9 maggio 2013 rappresenta una data storica. Quel giorno - per la prima volta dopo 800mila anni - la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera (misurata nel laboratorio di Mauna Loa nelle Hawaii) ha superato il limite di 400 parti per milione. Si tratta di un valore e di una data puramente simbolici: i rischi per il nostro pianeta erano ovviamente gli stessi del giorno prima o del giorno dopo. Ciononostante rappresenta un elemento di grande importanza se vogliamo comprendere quali siano le difficoltà che le nostre economie devono comunque affrontare per far fronte al tema del cambiamento climatico.

In questo contesto va accolta la pubblicazione del volume sulle politiche di mitigazione, con il quale termina il percorso del quinto rapporto dell'Ipcc sui cambiamenti climatici. Le novità del rapporto - che certo non mancano - non vanno cercate tanto in nuove informazioni, quanto nel loro grado di affidamento che deriva a sua volta da una maggiore consapevolezza dell'evidenza scientifica.

Sin dalla pubblicazione del primo rapporto nel 1990 la comunità scientifica ha inteso sottolineare quelli che poi sono stati i punti fermi nel corso di questo quarto di secolo: il tema del cambiamento climatico è molto serio e l'uomo, con le sue emissioni di gas a effetto serra, ricopre un ruolo essenziale in questo complesso fenomeno. Sono necessarie politiche attive per la riduzione delle emissioni, così come è necessario prepararsi concretamente attraverso politiche di adattamento. Il quinto rapporto riprende tutti questi aspetti, ampliandoli, e considerandoli all'interno di un quadro di maggiore precisione scientifica e di più accurata analisi.

Non dovevamo attendere la pubblicazione di questo volume per sapere che è necessario ridurre le emissioni di gas serra. Tuttavia la realtà - come sottolinea il volume - è certo meno favorevole: non solo le emissioni di gas serra non stanno diminuendo, ma aumentano. Di più: stanno accelerando. Nonostante le politiche di riduzione messe in atto dai diversi Paesi, il tasso di crescita delle emissioni di gas serra è passato dall'1,3% (per anno) registrato tra il 1970 e il 2000 al 2,2% tra il 2000 e 2010. Questi incrementi hanno subìto modesti rallentamenti nei passati anni di recessione globale. Le emissioni di anidride carbonica che derivano dalla combustione delle fonti fossili contribuiscono per il 78% del totale delle emissioni di gas a effetto serra nel periodo 2000-2010. Questi pochissimi dati sembrerebbero porre al centro della questione la politica energetica e una necessaria transizione verso una maggiore efficienza nell'uso dell'energia.

Il nuovo rapporto fissa con serietà e prudenza, ma senza infingimenti dialettici, alcuni punti chiave: le emissioni vanno ridotte e bisogna farlo in fretta per evitare extra-costi che dovremmo sostenere se ci dovessimo trovare nella sfortunata situazione di dover ridurre a un ritmo accelerato sotto la spinta di una crisi ambientale.

Sono stati elaborati diversi scenari rispetto al futuro delle emissioni nel corso del prossimo secolo. Una delle ipotesi su cui si lavora è che sarebbe necessario contenere l'incremento medio della temperatura a 2 gradi C°. Per fare questo è necessario stabilizzare le concentrazioni di anidride carbonica a 450 parti per milione. Oggi, come già ricordato, sono 400. Come ricorda Massimo Tavoni, uno degli autori del rapporto, «tutto ruota intorno al 2030, l'anno chiave per la svolta nelle emissioni. Se la produzione di gas serra continuasse a crescere e superasse i 55 miliardi di tonnellate di CO2 nel 2030, da quel momento dovremmo ridurre le emissioni del 6% ogni anno. Se invece riuscissimo a stare sotto i 50 miliardi di tonnellate, allora lo sforzo di riduzione delle emissioni sarebbe dimezzato».

E ben si comprende quale possa essere l'effetto in termini di costi complessivi sul sistema. Non ci resta che decidere, quindi, in fretta e bene.

Centro Euromediterraneo sui cambiamenti climatici

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