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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2014 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 11 luglio 2014 alle ore 08:32.

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Quarant'anni fa, nasceva la Commissione Nazionale per la Società e la Borsa (Consob), su modello dell'americana Securities and Exchange Commission (SEC). Nonostante i seminari celebrativi, c'è ben poco da festeggiare. Quando non è stata irrilevante (frode Parmalat), la Consob è stata dannosa (fusione Fonsai -Unipol). Se alcuni importanti risultati sono stati raggiunti nel sanzionare insider trading e nelle operazioni con parti correlate, il periodo più attivo della Commissione è stato quando era acefala. Oggi, sotto la gestione monocratica di Giuseppe Vegas, la Consob ha toccato i minimi storici. Riusciranno le nuove nomine e l'aumento del numero di commissari a risollevarla?

Difficilmente, perché la Consob nasce con un vizio di fondo: la mancanza di una missione chiara. L'americana SEC era nata per tutelare gli investitori dopo le manipolazioni di Borsa degli anni 20. L'idea, tuttora valida, è che se si vuole estendere l'investimento azionario al di fuori di una ristretta cerchia di ricchi investitori capaci di difendersi da soli, è necessario avere un'autorità governativa finalizzata alla loro protezione. È troppo costoso per un piccolo investitore difendere i propri interessi. Se non difesi, i piccoli investitori rifuggiranno l'investimento azionario, con grave danno per tutti . Non a caso gli italiani alla Borsa preferiscono il mattone.

La legge 216 che istituì la Consob, però, non gli diede una chiara missione. Ci vollero ben 24 anni (ed il testo unico della Finanza) per tentare di esplicitare la missione della Consob. Forse per la lunga attesa, gli obiettivi si moltiplicarono, diventando ben cinque, in parte contraddittori tra loro. A fianco della «tutela degli investitori», c'è anche la «stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario». Per rendersi conto come questi obiettivi possano essere in conflitto basta guardare al recente aumento di capitale lanciato dalla Banca Popolare di Vicenza (BPV). La stabilità del sistema finanziario (che include anche le nostre banche) vorrebbe che questo aumento andasse in porto. Una BPV ricapitalizzata ha maggior chances di superare gli stress test europei, aumentando la stabilità del nostro sistema bancario. Ma la tutela degli investitori vorrebbe una maggior disclosure sul prezzo delle azioni. Non essendo quotata, il valore della BPV è interamente determinato da un perito pagato dalla BPV. Avendo insegnato per 21 anni questo tipo di valutazioni, conosco quanto esse dipendano dalle ipotesi sottostanti. Eppure ai potenziali investitori non è dato di conoscere in dettaglio queste ipotesi, perché la relazione del perito non è inclusa nel prospetto informativo, né è disponibile sul sito della Consob.

Un investitore avveduto non dovrebbe sottoscrivere un titolo senza le opportune informazioni (caveat emptor). Purtroppo, ci sono gli investitori non avveduti (o peggio) mal consigliati. Ma la Consob non sembra preoccuparsi troppo di loro: che mi risulti non ci sono controlli per prevenire il rischio che gli sportelli di una banca vendano azioni proprie ai loro depositanti meno informati a un prezzo determinato in base a ipotesi non note.

Questa mancanza di attenzione, non è colpa dei funzionari Consob, ma dell'ideologia sottostante alla Commissione: alla tutela del risparmiatore antepone l'obiettivo della «stabilità del sistema finanziario». Con buona pace per il parco buoi.

Ma il presidente Vegas ha una visione ancora più ampia del mandato della Consob. Non solo la stabilità dei mercati, ma anche «far sì che ci sia un po' di sviluppo nel paese», come ha dichiarato in una recente intervista alla Stampa. Per questo ha trasformato la Commissione in un secondo ministero dello Sviluppo economico, in cui vengono facilitate fusioni tra campioni nazionali e promosse iniziative di sviluppo (come Più Borsa) con gli stessi organismi che la Consob dovrebbe regolare. La Consob può sì contribuire in modo importante allo sviluppo del Paese, ma lo può e deve fare perseguendo la sua missione: tutelare gli investitori.

In questo contesto anche le migliori nomine di nuovi Commissari farebbero fatica a cambiare lo status quo. Come suggerisce in un recente articolo Luca Enriques, che la Commissione conosce bene essendone stato commissario per molti anni, per migliorare la Consob - oltre a oltre a focalizzare la sua missione - dovrebbe ingoiare un po' della stessa medicina che prescrive al mercato: trasparenza e buona governance.

Innanzitutto trasparenza nel processo decisionale, per sottomettere i commissari alla giusta pressione dell'opinione pubblica. In secondo luogo trasparenza nei contatti con gli emittenti che non dovrebbero avere incontri ufficiosi con i commissari, ma solo incontri ufficiali, propriamente verbalizzati. In terzo luogo, una politica del personale volta a favorire (invece che scoraggiare) l'interscambio di personale con il mercato. Se questo comporta un ovvio rischio di cattura da parte dei vigilati, permette alla Commissione di avere personale qualificato e aggiornato. Ancora più importante, fornisce ai dipendenti un'alternativa, rendendoli più resistenti alle pressioni politiche del presidente. Purtroppo una norma nell'ultimo decreto legge va in direzione contraria. I dipendenti non possono lavorare in entità regolate per ben quattro anni dopo l'uscita dalla Consob, togliendo loro qualsiasi alternativa di lavoro nel nostro Paese. Non da ultimo, la Consob ha bisogno di una gestione meno monarchica dell'istituzione. Oggi i commissari sono tagliati fuori dal flusso informativo durante tutto il processo istruttorio e quindi finiscono per essere alla mercé del presidente.

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