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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 15 luglio 2014 alle ore 09:04.

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A distanza di quasi cinque anni dalla recessione del 2009, in Europa gli investimenti del settore privato sono ancora fiacchi. Gli investimenti pubblici sono stati ulteriormente tagliati, rafforzando un trend al ribasso sul lungo periodo: con il loro 2 per cento del Pil, nell'arco di trent'anni si sono dimezzati.

Si tratta di una vera disgrazia per l'Europa. Varie testimonianze lasciano intendere che a medio termine gli investimenti pubblici non frenano quelli privati, ma li incoraggiano. Le stime disponibili al riguardo dei moltiplicatori fiscali dell'investimento pubblico, per esempio sulla base del lavoro di Larry Christiano, Marty Eichenbaum e Sergio Rebelo, sono ben superiori a 1, al di sopra di quelli di altri strumenti fiscali. La sfera pubblica farebbe bene a orientare la spesa verso investimenti in aree quali le infrastrutture e il capitale umano, un investimento per le generazioni future.

Per tutelare la crescita futura, potrebbe rendersi necessaria una iniziativa europea. Si potrebbe instaurare un Sistema Europeo di Banche di Investimento (ESIB, Eurosystem of Investment Banks) con un trattato che fissi la capacità finanziaria paneuropea, che potrebbe coordinare l'operato delle banche nazionali di investimento pubblico (ESIB è l'acronimo scelto in analogia con SEBC, il Sistema Europeo delle Banche centrali nazionali e Bce nell'ambito dell'Emu, Unione economica e monetaria). Il perno centrale dell'ESIB, il Fede Fund (Fondo federale di investimento), sarebbe creato a partire dalla ristrutturazione della Banca europea per gli investimenti in un'entità concretamente federale.

In Europa esistono molte banche di sviluppo nazionale. Alcune sono rilevanti. Sono tutte istituzioni solide che godono di ampia autorevolezza, che talvolta possiedono magnifiche collezioni di opere d'arte e sono situate in edifici storici prestigiosi nelle capitali dei rispettivi paesi. I loro massimi dirigenti fanno parte delle élite nazionali. Ma il raggio d'azione della loro attività spesso è associato all'interesse economico e strategico della nazione della quale sono al servizio.

È giunta l'ora che questi obbiettivi nazionali siano integrati da quelli europei. L'ESIB potrebbe farsi carico di curare la collaborazione tra queste istituzioni nella Legge europea. Inoltre, per statuto, potrebbe mettere in contatto diretto gli investitori del settore privato e le banche pubbliche di sviluppo. Ma concepire e mettere a punto in ogni dettaglio un "sistema" che preservi i punti di forza di ogni modello nazionale, apportando al contempo risultati efficienti a livello continentale, è un'autentica sfida.

La prima sfida in assoluto è politica. Il mandato, la proprietà e la governance del Fede Fund sarebbe determinanti per arginare il processo di investimento, proteggendolo dalle agende politiche nazionali non collegate alla promozione della crescita a lungo termine. Il mandato dell'ESIB potrebbe semplicemente essere quello di promuovere la crescita a lungo termine, il benessere e l'occupazione in Europa, riflettendo un consenso politico che nasca democraticamente dai popoli degli stati membri della zona euro. Quanto alla proprietà e alla governance, tuttavia, sono più complesse da gestire e potrebbe rendersi necessaria la creazione di una struttura che accolga sia gli azionisti pubblici del Fede sia (e possibilmente in maggioranza) gli azionisti privati. Gli azionisti eleggerebbero tutti insieme il Consiglio di amministrazione dell'ESIB. Il Fede Fund potrebbe anche emettere debito per finanziare gli investimenti su una scala economicamente rilevante.

L'Europa può nutrire nuove ambizioni. Può prefiggersi un aumento dell'investimento pubblico pari al 2 per cento del Pil. Con una struttura composta dal 50 per cento di azionisti privati e dal 50 per cento di azionisti pubblici nel Fede Fund, e rispettando la regola di indebitamento del 2,5 della Bei (Banca Europea per gli Investimenti), otterrebbe una capacità di finanziamento prossima al 10 per cento del Pil della zona euro, e quindi intorno ai mille miliardi di euro. Varrebbe sicuramente la pena rifletterci su.
(Traduzione di Anna Bissanti)

Natacha Valla è vicedirettore del CEPII di Parigi

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