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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2014 alle ore 13:55.
L'ultima modifica è del 20 luglio 2014 alle ore 15:46.

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Il libro dell'economista francese Thomas Piketty Capital in the Twenty-First Century ha fatto scalpore in tutto il mondo per aver messo in relazione l'accumulo di capitale con la disuguaglianza al centro del dibattito economico. rendere così speciale la tesi di Piketty è la sua insistenza su un trend fondamentale che discende dalla natura stessa della crescita capitalista, tesi in linea con la tradizione dei grandi economisti dell'Ottocento e dei primi del Novecento. Nell'era dei tweet, il suo best seller non raggiunge le mille pagine.

Il libro è il frutto di più di una decina d'anni di scrupolose ricerche condotte da Piketty e da altri economisti, fra cui Tony Atkinson dell'Università di Oxford. C'è stato qualche problema a gestire la massiccia mole di dati, in particolare la misurazione dei redditi da capitale nel Regno Unito, ma i trend a lungo termine che sono stati individuati - un aumento nella quota di reddito dei detentori di capitale e la concentrazione del "reddito primario" (al netto di tasse e trasferimenti) al vertice della piramide distributiva negli Usa e in altre grandi economie - restano indiscussi.

Secondo la legge dei rendimenti decrescenti, il rendimento su ogni unità aggiuntiva di capitale dovrebbe diminuire. Una chiave delle conclusioni a cui è giunto Piketty è che negli ultimi decenni il rendimento del capitale è diminuito - quando è diminuito - in proporzione molto inferiore al tasso con cui il capitale è cresciuto, portando così a una quota maggiore del reddito da capitale.

Secondo i manuali di teoria microeconomica questo avviene quando l'"elasticità di sostituzione" della funzione produttiva è maggiore di uno: il capitale può essere sostituito dal lavoro, seppur in modo imperfetto, ma con una diminuzione abbastanza minima nel tasso di rendimento così che la quota di capitale aumenta con un'intensità di capitale maggiore. Larry Summers ha osservato di recente che in un contesto dinamico, la prova dell'elasticità di sostituzione maggiore di uno è debole se si misura il rendimento al netto del deprezzamento, perché il deprezzamento aumenta in modo proporzionale alla crescita del capitale sociale.

Ma la tradizionale elasticità di sostituzione misura la facilità di sostituzione con un dato grado di conoscenza tecnica. Se c'è un cambiamento tecnico che risparmia lavoro, il risultato nel tempo sembra essere simile a quello prodotto da un'elevata elasticità di sostituzione. Solo pochi mesi fa, Summers stesso propose una riformulazione della funzione produttiva che distingueva fra il capitale tradizionale (K1) che resta in qualche misura un complemento al lavoro (L), e un nuovo tipo di capitale (K2) che sarebbe un perfetto sostituto di L.

Un aumento di K2 porterebbe ad aumenti nella produzione, nel tasso di rendimento di K1 e nella quota di capitale del reddito totale. Al tempo stesso, aumentare la quota di "lavoro effettivo", ovvero K2 + L, farebbe scendere i salari. Questo accadrebbe anche se l'elasticità di sostituzione fra K1 e il lavoro effettivo complessivo fosse inferiore a uno.
Fino a poco tempo fa il capitale che poteva essere classificato come K2 era raro, poiché i risultati dei macchinari capaci di sostituire il lavoro erano lontani dalla perfezione. Ma con l'avvento delle macchine e dei software "intelligenti", la quota K2 del capitale totale sta aumentando. Carl Benedikt Frey e Michael Osborne dell'Università di Oxford ritengono che quelle macchine siano in grado di svolgere circa il 47% dei lavori esistenti negli Usa.

Se ciò fosse vero, la quota aggregata di capitale dovrà aumentare. Visto che il capitale resta concentrato nelle mani di chi ha un reddito elevato, anche la quota di reddito che andrà al vertice della piramide distributiva aumenterà. La tendenza da parte di questi detentori di capitale a risparmiare una grande proporzione del proprio reddito - e in molti casi a non avere un gran numero di figli - farà aumentare ulteriormente la concentrazione della ricchezza.

Ci sono altri fattori che possono contribuire ad aggravare le disuguaglianze. Un fattore che è stato perlopiù trascurato nel dibattito sul libro di Piketty è la tendenza dei superricchi a sposarsi fra loro, un fenomeno sempre più frequente visto che si contano sempre più donne nel novero delle alte retribuzioni. Anche questo provoca una concentrazione di reddito più rapida rispetto a venti o trent'anni fa, quando gli uomini ricchi sposavano donne che non avevano un patrimonio paragonabile al loro. A questo si deve aggiungere il moderno effetto di scala sui redditi di professionisti e superstar - l'effetto del "vincitore-prende-tutti-i-mercati-globali" - ed emerge la fotografia di forze cruciali che tendono a concentrare il reddito primario al vertice della piramide distributiva.

Senza politiche forti mirate a contrastare questi trend, la disuguaglianza continuerà quasi sicuramente ad aumentare nei prossimi anni. Riportare un po' di equilibrio nella distribuzione del reddito e incoraggiare la mobilità sociale, pur potenziando gli incentivi all'innovazione e alla crescita, saranno alcune delle sfide più importanti - e difficili - del Ventunesimo secolo.
Kemal Dervis, ex ministro dell'Economia turco ed ex amministratore del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), è vicepresidente del Brookings Institution (Traduzione di Francesca Novajra)

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