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Questo articolo è stato pubblicato il 23 luglio 2014 alle ore 06:40.
L'ultima modifica è del 26 luglio 2014 alle ore 18:03.

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Uno spettro si aggira per l'Europa, la politica fiscale. Fin dalla primavera 2010, reagendo alla crisi greca, le economie europee hanno messo in atto politiche di consolidamento fiscale. L'austerità ha avuto gli effetti che molti attendevano: l'economia dell'eurozona è piombata in recessione e i conti pubblici delle economie periferiche sono lungi dall'essere stabilizzati. Ma l'austerità ha avuto un altro effetto: il peso dell'attività di contrasto alla crisi è caduto sulle spalle della Bce, che ha dovuto spingersi fino ai limiti del proprio mandato per salvare l'eurozona.

Francoforte ha prima dovuto far fronte alla speculazione, assumendo di fatto il ruolo di prestatore di ultima istanza con il programma Outright Monetary Transactions in 2012. Poi, di fronte alla minaccia di deflazione, ha lanciato (tardivamente, a dire il vero) la versione europea del Quantitative Easing per rilanciare credito e spesa privata. Ma le armi a disposizione della Bce sono spuntate. Le periodiche inchieste condotte sulle condizioni del credito spingono a credere che, con qualche eccezione (l'Italia è una di queste), rendere il credito più abbondante non genererà un aumento della spesa per consumi e investimenti: come spesso succede per economie minacciate dalla deflazione, imprese e famiglie tendono a non spendere (e a ridurre la domanda di credito). A fine 2013, la spesa privata era inferiore del 7% rispetto al 2008 (del 18% per i paesi periferici). Nonostante le iniezioni di liquidità, il cavallo dell'economia europea si ostina a non bere.

L'ossessiva attenzione per le mosse della Bce rende ancora più evidente l'assordante silenzio dei policy makers sullo strumento che in situazioni di trappola della liquidità dovrebbe essere prioritario: la politica fiscale. Il compito principale di una politica fiscale anticiclica dovrebbe essere quello di intervenire per sostenere l'attività economica quando la spesa privata vacilla. Questo è avvenuto nel 2009, prima della prematura e disastrosa adesione dei paesi europei al mantra dell'austerità.

Eppure qualcosa si muove. In parte grazie alla presidenza italiana, il tema dell'investimento pubblico sembra tornato d'attualità. Come sostenuto da Larry Summers, i tassi di interesse ai minimi storici rendono il rendimento atteso degli investimenti in infrastrutture per gli Stati Uniti particolarmente elevato. Questo è ancora più vero per la zona euro, che ha un debito inferiore (94% del Pil). Idealmente si dovrebbe avviare un vasto piano di investimenti pubblici a livello europeo, per esempio in progetti di transizione energetica, finanziati da debito comune. Questo non accadrà, nonostante la proposta di eurobond, project bond o strumenti simili sia periodicamente rilanciata, per l'opposizione della Germania e di pochi altri paesi. È difficile immaginare che un programma di investimento pubblico della dimensione necessaria alla ripresa possa essere messo in cantiere senza uno strappo politico e istituzionale. I due paesi che hanno rilanciato il tema dell'investimento, Francia e Italia, dovrebbero raccogliere quanti più paesi possibile e annunciare che le prossime leggi di stabilità conterranno progetti di investimento pubblico coordinati e significativi (dell'ordine dell'1-2% del Pil), in settori strategici come l'economia digitale e la transizione energetica. Se si riuscisse a federare un numero sufficiente di paesi attorno a questa iniziativa, l'inevitabile sforamento dei vincoli di bilancio pubblico non sarebbe percepito come una furbata, ma come un estremo tentativo di sfuggire alla spirale deflazionistica che strangola l'Europa. In quanto tale, lo strappo sarebbe politicamente difficile da sanzionare da parte della Commissione. E c'è da scommettere che il conseguente temporaneo deterioramento delle finanze pubbliche, sarebbe visto positivamente anche dai mercati, che da quattro lunghissimi anni continuano a chiedere politiche di rilancio della crescita, ma ottengono solo una sempre più ottusa austerità recessiva e destabilizzante.
@fsaraceno
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