Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2014 alle ore 07:25.
L'ultima modifica è del 24 luglio 2014 alle ore 08:22.

My24

Il 22 luglio Giovanni Bersani ha compiuto 100 anni: l'ex senatore Dc è stato festeggiato a Bologna, dove è stato presentato il volume Una vita da Nobel, di cui proponiamo uno stralcio.

La capacità di guardare lontano e di muoversi su un orizzonte ampio, non strettamente settoriale, tra le diverse tematiche che attengono lo sviluppo della dignità delle persone, il loro pieno diritto di cittadinanza in un contesto sociale che deve evolversi anche con cambiamenti forti che abbracciano l'economia, il lavoro e la cultura, rappresentano il vero tratto distintivo dell'uomo e del politico Bersani.

Chi ha lavorato con lui, chi lo ha conosciuto e frequentato non solo nei difficili anni del dopoguerra ma anche nei periodi più recenti, non ha potuto non rendersene conto e non apprezzare questa sua qualità umana e politica. E la forza, la sua vera grandezza nell'affrontare con cognizione di causa e competenza la moltitudine di situazioni e iniziative conosciute e progettate durante la sua lunga vita, consiste nella naturalezza e nella semplicità con le quali è sempre riuscito a gestirne la profondità e la complessità, superando sempre ogni genere di ostacolo. Saranno state certamente queste doti, merce rarissima al giorno d'oggi, ad orientarlo in quel lavoro che lo portò a seguire l'iter parlamentare di un progetto di legge sull'apprendistato d'iniziativa dei deputati Rapelli, Di Vittorio, Santi, Lizzadri, Cappugi ed altri, approvato in Commissione lavoro della Camera nel marzo 1953 e che, dopo una lunga e complessa fase di discussione, arrivò ad essere approvato sotto il nome di legge 25, disciplina dell'apprendistato, il 19 gennaio 1955. Questo provvedimento ebbe un ruolo importante, negli anni successivi, per l'inserimento lavorativo dei giovani, contribuendo in modo sostanziale al compimento di una svolta culturale nel campo del lavoro.

All'inizio degli anni 50, in Italia, oltre il 40% della popolazione attiva era dedita al lavoro in agricoltura. Però questo settore contribuiva alla formazione del reddito nazionale con una quota che, a malapena, toccava il 25%. Dunque, le leggi sull'agricoltura alle quali Bersani aveva lavorato negli anni precedenti stavano sì portando a risultati di sensibile miglioramento in questo settore che restava il pilastro dell'economia ma occorreva mettere in campo anche altre iniziative. Affinché si potesse consolidare un reale processo di razionalizzazione e di crescita di produttività dell'agricoltura, occorreva dirottare verso altri settori di attività almeno una parte di quella popolazione attiva occupata, in assenza di altre possibilità, nelle campagne italiane.
(...)

Ma se in quegli anni 50 l'Italia non avesse potuto contare sull'intelligenza e la visione lunga di persone come Giovanni Bersani, probabilmente la stessa crescita economica e industriale del 1960 sarebbe stata molto più contenuta. Lui, Bersani, ebbe un'altra grande intuizione che non poté non scaturire, come le tante altre che ha avuto nella sua lunga vita, dalla capacità di leggere sempre a 360° la realtà politica, economica e sociale nella quale si è trovato a operare: i protagonisti di questo cambiamento potevano essere solo i giovani che, in quel preciso momento, cominciavano ad avere l'opportunità di investire per il loro futuro professionale anche in ambiti diversi da quello che aveva connotato la vita lavorativa dei loro genitori. In questo cambiamento andavano però sostenuti da uno strumento legislativo che ne assicurasse un'adeguata formazione, complementare al processo di apprendimento professionale implicito nell'attività quotidiana sui luoghi di lavoro e che dovesse essere parimenti assoggettato a precisi obblighi di legge. È da questa visione che nasce la legge 25 del 1955 che, per prima, introduce una norma di diritto che disciplina compiutamente l'apprendistato introducendo importanti sgravi fiscali a favore del datore di lavoro.
(...)

L'impatto della legge 25/1955 sul mercato del lavoro della seconda metà degli anni 50 e sui primi anni 60 fu imponente. Lo fu sul piano numerico. Si può calcolare che, nel primo decennio di applicazione della normativa, i giovani assunti con contratto di apprendistato in Italia furono oltre un milione. A questo risultato positivo contribuì anche il tasso di sviluppo del Paese che in quegli anni aveva iniziato a camminare abbastanza speditamente. Ma fece la differenza l'aver intuito per tempo che uno strumento normativo in grado di disciplinare una modalità di inserimento formativo al lavoro come quella dell'apprendistato e, contestualmente, di incentivare fiscalmente le imprese ad usufruirne, avrebbe potuto rappresentare una leva determinante sia il mercato del lavoro e per la qualificazione delle imprese.
Riletto oggi, il ruolo svolto da Bersani in quei periodi così difficili di trasformazione del Paese, pur con le dovute e necessarie differenze storiche, appare come esperienza in una certa misura comparabile, per gli effetti sulle dinamiche di cambiamento sociale e per obiettivi di miglioramento, a quella svolta molti anni dopo da un altro grande bolognese, Marco Biagi.

Occorre molta cautela in questo genere di accostamenti perché Bersani visse e operò molte delle trasformazioni di cui è stato protagonista in periodi di cambiamenti traumatici, nei quali i fossati ideologici apparivano invalicabili, anche se la legge per la disciplina dell'apprendistato appare una eccezione in questo senso. Ma è la classica eccezione che conferma la regola! Marco Biagi, invece, si è trovato a operare in un grande progetto di riforma durante un periodo molto diverso, con i muri dell'ideologia già crollati, anche fisicamente. Ha però dovuto combattere con l'insorgenza di un blocco sociale molto agguerrito che, personalizzando i propri attacchi durissimi sul giuslavorista, portò la sinistra politica e sindacale italiana ad assestarsi su posizioni della più risoluta conservazione ideologica a difesa di uno "status" che non rappresentava più la società del lavoro. Dopodiché, restandone vittima, ha dovuto fare i conti con una forma di colpevole insipienza dello Stato e con la follia e l'assurda ferocia politica del terrorismo delle nuove Brigate Rosse.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi