Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2014 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 25 luglio 2014 alle ore 08:03.

My24

Sarà un caso, ma l'arrivo di Meriam in Italia è un tripudio di colori sulla pista grigia dell'aeroporto di Ciampino: lei in maglia arcobaleno, il piccolo Martin in giallo, la neonata Maya in bianco, la ministra Mogherini in rosso e nero, Agnese Renzi in verde. Finisce un incubo e si sfoglia una bella pagina per la libertà religiosa ieri alle 9.30 in punto, quando il bireattore dell'Aeronautica militare è atterrato dopo un viaggio di sei ore da Khartoum, capitale del Sudan.

Portando a Roma la giovane cristiana Meriam Yahia Ibrahim Ishag, condannata a morte per la sua fede, il marito in carrozzella Daniel Wani, cittadino sudanese e americano, e i figli Martin, 20 mesi, e Maya, appena due mesi.
«È un giorno di festa», ha detto il premier Matteo Renzi, che con la moglie e la ministra degli Esteri Federica Mogherini ha accolto la famiglia. Meriam e i suoi sono stati accompagnati in volo dal viceministro agli Esteri Lapo Pistelli, e subito, nella tarda mattinata, hanno incontrato Papa Francesco. Un colloquio di mezzora nella residenza di Santa Marta, descritto come «sereno e affettuoso», in cui il pontefice ha ringraziato Meriam per il coraggio e la «testimonianza di fede». Un simbolo per tutti i cristiani perseguitati.
Il tempo di riprendersi dal viaggio e dalle emozioni e la famiglia andrà negli Stati Uniti, destinazione New Hampshire, dove raggiungerà il fratello di Daniel. Lasciandosi alle spalle l'inferno degli ultimi mesi, che ha commosso il mondo: è aprile quando Meriam, incinta di otto mesi, viene arrestata per apostasia, chiusa in carcere con il suo primogenito e condannata all'impiccagione. Una sentenza choc. Paga l'essere cristiana ortodossa, aver tradito la religione del padre musulmano, che l'ha abbandonata da piccola. Per i giudici deve pure ricevere cento frustate per adulterio: per la sharia il suo matrimonio non è valido.

Sua figlia Maya nasce in carcere a fine maggio. Il 23 giugno la donna viene liberata (un tribunale d'appello annulla la condanna a morte) e racconta di aver partorito con le gambe incatenate. Il giorno dopo viene fermata di nuovo con il marito e i figli mentre tenta di imbarcarsi su un volo per gli Usa. Stavolta l'accusa è di irregolarità nei documenti. Dopo il rilascio Meriam si trasferisce nell'ambasciata americana, dove rimane fino all'altroieri.
Nel frattempo si mobilita la comunità internazionale. Amnesty International denuncia il caso, da Roma la ong Italians for Darfur segue la vicenda. Il capo dello Stato Napolitano lancia un appello perché la condanna sia rivista. E Renzi cita Meriam e le ragazze nigeriane rapite da Boko Haram nel discorso di apertura del semestre europeo a Strasburgo: «Se non c'è una reazione europea non possiamo sentirci degni di chiamarci Europa».
È per questo che ieri il premier ha potuto dire: «Siamo felici di chiamarci Europa». Twittando nel pomeriggio: «Una ragazza che ha partorito in catene per la propria fede, oggi è libera. L'Italia è anche questo. La politica è anche questo». «È una grande gioia», ha commentato la ministra Mogherini, che ha ritardato la partenza per i Balcani per salutare Meriam. E che ha scelto un profilo basso, quasi a volersi conquistare sul campo, con i fatti, l'incarico di Lady Pesc, “signora” della politica estera dell'Ue (le nomine sono state rinviate a fine agosto).

L'epilogo felice - il visto consegnato mercoledì sera al nostro ambasciatore in Sudan e l'immediata partenza di notte per l'Italia - è il frutto di un paziente lavoro della Farnesina coordinato da Pistelli, che due settimane fa è stato a Khartoum. «Le autorità sudanesi hanno avuto con noi un rapporto di fiducia e di amicizia, e abbiamo lavorato in particolare con il ministro degli Esteri Ali Ahmed Karti (marito dell'ambasciatrice sudanese in Italia, ndr), in piena cooperazione con le autorità americane», ha raccontato Pistelli. «La presenza italiana nel Corno d'Africa c'è». Il viceministro ha aggiunto divertito che «in viaggio si è parlato soprattutto di latte e pannolini» e che «per Martin l'aereo era come Disneyland».
A parte le critiche al «buonismo a beneficio di telecamera», piovute ieri come ai tempi del viaggio di Maria Elena Boschi con i bimbi del Congo, il plauso alla nostra diplomazia è stato ampio. Ma il pensiero non poteva non andare alle altre emergenze da risolvere, Marò in testa. Pistelli ha garantito che «il nostro impegno e quello del Parlamento continuerà». Vale anche per gli altri italiani sequestrati in varie zone calde del pianeta e per le studentesse nigeriane rapite dai terroristi islamici di Boko Haram, per le quali è dilagato l'appello mondiale #bringbackourgirls.

Se la "colpa" di Meriam era l'essere cristiana - una "colpa" sempre meno tollerata, non solo nel Sudan guidato da Omar al Bashir, ricercato per crimini di guerra e genocidio in Darfur - quella delle ragazze è studiare (Boko Haram significa "l'educazione occidentale è peccato"). Uomini e donne, soprattutto donne, perseguitate per lo stile di vita, per la religione, per soffocare diritti e libertà. Davanti a tutto questo - Meriam ce lo insegna, Asia Bibi e le altre ce lo ricordano - l'Europa non può più girare la testa dall'altra parte.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi