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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2014 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 29 luglio 2014 alle ore 11:24.

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Il ministero del Tesoro (Lapresse)Il ministero del Tesoro (Lapresse)

Ancora ieri i tassi in asta sono scesi a livelli record, questa volta per i CTz collocati sul mercato primario. E ancora ieri i rendimenti dei BTp decennali hanno toccato l'ennesimo minimo storico sul mercato secondario dove si effettua la compravendita dei titoli di Stato. Sono primati che rallegrano, che fanno star bene chi ha sofferto le pene dell'inferno nelle estati del 2011 e del 2012 quando dietro l'impennata di tassi, rendimenti e spread del nostro debito pubblico avanzava la spettrale minaccia del default.

Il doppio volto dei tassi bassi
In verità, il fatto che i rendimenti siano così straordinariamente compressi non solo in Italia ma ovunque nell'Eurozona (ancora ieri i rendimenti dei BoT tedeschi Bubill a 12 mesi in asta sono stati collocati allo 0,0067% dopo il -0,0029% dei Bubill semestrali di metà luglio) va letta anche come triste conferma di una crescita che stenta a decollare - e con essa l'inflazione - e di un'economia che per provare a tornare in salute ha bisogno di iniezioni di liquidità con dosi da cavallo, per l'appunto con politiche monetarie straordinariamente accomodanti.

Chi ci guadagna davvero
Chi ha i suoi buoni motivi per gioire per i record in asta è chi paga gli interessi sul debito pubblico, il Tesoro in prima battuta, indirettamente il contribuente. Nei primi sei mesi di quest'anno, il costo medio alla raccolta (in asta) per il Tesoro è stato dell'1,58%, un valore che sarà limato ulteriormente dopo i nuovi record messi a segno a luglio. Il risparmio è notevole per le casse dello Stato (sulla base degli ammontari emessi anno su anno): mezzo punto percentuale in meno rispetto al costo medio all'emissione del 2013 registrato al 2,08 per cento.

Gli effetti delle condizioni positive di mercato
Un altro aspetto meno evidente e comunque positivo delle aste da record, per il quale non può che rallegrarsi il Tesoro chiamato a gestire oltre 2.100 miliardi di debito pubblico, è il collocamento dei titoli a prezzi sopra la pari. È quanto è visibile in maniera eclatante, per esempio, nell'asta di fine giugno quando i BTp decennali sono stati venduti a 108. I prezzi sono saliti sopra la pari perchè la cedola di questi titoli è fissa: è stata fissata su valori che nel tempo sono risultati più alti rispetto ai rendimenti di mercato, nel frattempo scesi. Secondo fonti di mercato bene informate, vicine al dicastero di Via XX Settembre, le aste a prezzi sopra la pari hanno consentito al Mef di finanziarsi più del previsto, di mettere in cascina importi superiori: le condizioni di mercato sono stimate tali da poter permettere al Tesoro di ridurre l'obiettivo delle emissioni lorde per il 2014, che ad inizio anno era indicato a quota 470 miliardi (ammontare non è scolpito nella pietra). Stando a Unicredit, il Tesoro finora quest'anno ha collocato attorno al 70% del suo programma di emissioni a medio-lungo termine (200 miliardi circa su 280 tra i quali i CTz).

Il piano di emissioni
Al buon esito delle aste di fine luglio, concorrono altri fattori tecnici. L'Italia è l'unico Stato ad emettere titoli a medio-lungo termine questa settimana nell'Eurozona: le aste italiane trovano dunque sostegno extra dal pagamento di circa 17 miliardi di cedole e dal rimborso di titoli italiani e spagnoli a medio-lungo in scadenza per oltre 50 miliardi proprio in questi giorni. Il Tesoro, come ogni anno, ha cancellato le aste a medio-lungo di metà agosto e ha alleggerito quelle di fine agosto: anche questo favorisce i collocamenti in arrivo mercoledì con i BTp a cinque e dieci anni (per i quali si attendono nuovi record) e CcTeu. Non da ultimo, le tensioni geopolitiche e le nubi che iniziano ad addensarsi sullo scenario politico italiano non hanno ribaltato (per ora) il mega-trend della caccia al rendimento e la domanda per i titoli di Stato periferici europei , compresi i nostri, resta elevata.
isabella.bufacchi@ilsole24ore.com

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