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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2014 alle ore 07:05.
L'ultima modifica è del 01 agosto 2014 alle ore 08:30.

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«Taranto si trova davvero allincrocio della storia. Ma è, prima di tutto, un luogo in cui una storia si è definitivamente consumata». Franco Cassano, sociologo che insegna all'Università di Bari e che svolge da sempre una intensa attività politica (ora è parlamentare del Pd), è un intellettuale atipico. È fuori dal mainstream. Negli anni ha elaborato, quale tentativo ermeneuticamente identitario e come esercizio di autonomia e di superamento di ogni minorità indotta e autoindotta, il «pensiero meridiano».

Quale storia si è consumata?
Un pezzo di storia del Novecento italiano. Con l'insediamento dell'Italsider, si realizzava l'orgoglio e il progetto democristiano della valorizzazione dell'Iri in una economia pubblica. A sinistra, l'industrializzazione veniva vista come una occasione di espansione della classe operaia: dunque, un fatto essenzialmente positivo.

Che cosa era Taranto in pieno '900?
A Taranto si immaginava di ripercorrere un tragitto simile più al modello emiliano che non alla tradizione del Mezzogiorno. L'industria pesante produceva iscritti ai sindacati e iscritti ai partiti politici, in particolare al Pci. Quindi, consenso. Giuseppe Cannata, comunista, è stato sindaco dal 1976 al 1984. Taranto aveva una specificità molto forte, rispetto alle federazioni del Salento e di Foggia, dove gli agricoltori prevalevano sugli operai, e di Bari, più commerciale.

Bagnoli era un altro luogo simbolo dell'industrializzazione del Sud.
È così. Nel bel romanzo di Domenico Rea La dismissione, si racconta la normalità dei pavimenti ricoperti, al risveglio, di una patina scura. L'inquinamento, nella percezione popolare e nella cultura delle élite di allora, non esisteva. Esisteva l'identificazione. A Bagnoli, città che ha conosciuto e che conosce ben altre egemonie, esisteva l'orgoglio operaio. Due operai di Bagnoli fecero parte del comitato centrale del Pci. Nelle ultime pagine della Dismissione il jazzista Daniele Sepe suona l'Internazionale.

La storia è sempre di lungo periodo.
È vero. Un esempio: il rione Tamburi, che oggi è uno dei più sofferenti, nasce dall'idea di una residenza operaia vicino al posto di lavoro sicuro, ma non burocratico, bensì produttivo e legato alla modernità industriale. La storia ha, però, anche delle cesure. A Taranto ci troviamo di fronte a un'organizzazione del territorio incentrata sull'industria pesante, che l'ha modellato con una pervasività e un impatto ambientale assai violenti. Intanto, però, sono cambiati tutti i paradigmi. Dal conflitto fra capitale e lavoro, si è passati al conflitto fra lavoro e salute. All'Ilva bisogna capire chi metterà davvero i soldi. Chi farà i lavori di bonifica, non più differibili. Chi sarà il proprietario e il gestore dell'acciaieria. E quali nuove attività non inquinanti potranno assorbire l'occupazione già assicurata dall'Ilva.

Taranto non è solo Taranto.
Sono d'accordo. Si tratta di un mosaico articolato. Il successo o il fallimento della sua composizione ci diranno qualcosa di non poco conto non solo su Taranto, anche sul futuro del Paese e sulla nostra capacità di gestire problemi strategici. (P.Br.)

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