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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2014 alle ore 08:26.
L'ultima modifica è del 03 agosto 2014 alle ore 15:28.
Avrei voluto inviare queste riflessioni da Gerusalemme, la Città Santa per l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islam, il cui nome, interpretato "città della pace", annuncia come essa sia per eccellenza il luogo dove lo "shalom" della promessa divina dovrà rendersi visibile per tutti i popoli. Forse proprio per questo i conflitti vi esplodono in modo più acuto, quasi a manifestare la potenza del male su cui dovrà trionfare il dono divino, apportatore di pace.
Nel groviglio di questa contraddizione, cinta dalle mura di Solimano il Magnifico, che abbracciano la Città vecchia con la spianata del Tempo e i luoghi sacri delle tre religioni, Gerusalemme esercita un fascino singolare, attirando visitatori e pellegrini da ogni parte della Terra. Anche io desideravo giungervi in questi giorni per l'ennesima volta, accompagnando un pellegrinaggio a suo modo speciale, formato da una novantina di giovani provenienti dalla diocesi a me affidata in Abruzzo. I venti di guerra, soffiati con tanta violenza in queste settimane, hanno indotto a rinviare il viaggio, soprattutto sulla spinta delle ansie delle famiglie dei giovani. Mi ha colpito, tuttavia, la tenacia di quanti desideravano venire: ragazzi motivati da una passione più forte di tutte le preoccupazioni, alimentata da un interesse e perfino da un amore per questa meta che suscita tanto stupore, quanta ammirazione. Perché una Terra segnata dalla storia dei Patriarchi e dei Profeti, calpestata dai piedi del Figlio dell'Uomo, in cui la fede dei cristiani riconosce la presenza del Verbo eterno incarnato per noi, visitata dal sogno del Profeta dell'Islam, che secondo quella tradizione da essa ascese alla visione del cielo (Sura 17: "Il viaggio notturno"), esercita una simile attrazione su ragazzi come tanti, figli del post-moderno, abitatori della città secolare e frequentatori abituali della rete e del "villaggio globale" virtuale, che essa genera e popola?
La prima risposta a questa domanda sta nell'osservazione dei volti di questi giovani, aspiranti pellegrini verso Gerusalemme: più che tracce di vissuto, essi sono domande aperte, sfide al futuro, promesse di compimenti desiderati, per lo più ignoti e tuttavia sperati. I giovani sono desiderio e attesa: e Gerusalemme, prima che città dei secoli, è simbolo di futuro, segno di una promessa antica e sempre nuova. Perciò, la Città Santa incuriosisce i giovani, specialmente se aperti alla sfida e alla promessa della fede. Tutto in essa, come nell'intera Terra Santa, parla di paradossi, d'incontri inauditi e all'apparenza contraddittori: qui il Cielo si unisce alla terra, la santità alla violenza, l'odio alla pace. Qui il Volto dell'Altissimo si fa vicino e il Suo cuore si rivela come grembo di misericordia, sorgente di perdono per chiunque voglia conoscerlo sulle orme della rivelazione biblica. Qui il dolore degli uomini sembra gridare più forte la sua protesta al cielo: «Quando Dio creò il mondo, di dieci misure di bellezza e di sapienza, dieci ne diede a Gerusalemme. Di dieci misure di dolore, dieci ne diede a lei!». Le pietre antiche di Gerusalemme, bagnate dalle lacrime e dal sangue di generazioni e generazioni, risplendono agli occhi di popoli diversi, discepoli della Torah, del Vangelo o del Corano, folla di nazioni che viene alla Città Santa da ogni parte del mondo come al luogo dove tutti siamo nati, secondo quanto afferma il Salmo 87 (86): «Si dirà di Sion: l'uno e l'altro in essa sono nati» (v. 5). Gerusalemme è al tempo stesso il sigillo dell'alleanza nuziale fra l'Eterno e i suoi figli, e l'opera incompiuta, sempre in tensione verso il domani di una promessa, che nessun compimento sazia e che rimanda alla patria futura di tutti. In questa Città, "ombelico del mondo", s'impara a guardare al futuro come alla permanente contraddizione della speranza rispetto a ogni calcolo umano, troppo umano: perciò è la città dei giovani, che sono in se stessi fermento del domani, dimora delle tensioni fra l'avvenire da attendere e a cui andare incontro e il presente da assumere e trasformare dal di dentro. Solo chi non si ferma all'evidenza dell'oggi può "sentire" la voce di silenzio sottile che parla dalle pietre di Gerusalemme, schiudendo orizzonti di speranza, accendendo fiducia nell'impossibile possibilità del Signore della vita e della storia. I giovani sono le sentinelle del mattino che deve venire, e la loro carica utopica forza l'aurora del nuovo giorno ben più che le pretese e i calcoli dei potenti. Perciò, in un'ora così carica di tensione e di dolore, bagnata dal sangue della guerra, paradossalmente più che mai Gerusalemme è la loro città, la cifra del loro sogno e la sfida alle loro paure.
Sulle strade della Terra Santa si scopre però anche la profondità delle radici della speranza che essa può accendere nel cuore dei giovani, liberi dal timore che spesso paralizza gli adulti: Davide continua a vincere qui il gigante Golia; Daniele e i suoi compagni hanno ancora e di nuovo la meglio sui leoni della fossa; un sepolcro davanti a cui era stata rotolata la pietra circolare, che doveva sigillarlo per sempre, è vuoto e proprio così continua ad accendere le energie della fede nei cuori umili e assetati di perdono e di pace. Gerusalemme è la città della memoria della fede, il luogo dove i destini dei popoli sono scritti in eventi scolpiti per sempre nella memoria di chi crede e credendo impara a sperare e ad amare. In questa Città, santa perché da sempre "separata" per Dio e per chiunque vorrà credere in Lui, ciò che è avvenuto una volta per sempre al giovane Re Davide, o ai fanciulli gettati alle belve, o al Figlio crocefisso per tutti e per tutti risorto alla vita, è possibilità aperta, attualità di un'esperienza che - nutrita dalla memoria del Libro - è resa possibile a chi ne accetti la sfida. Il credente riscopre nella Terra Santa dei Padri che la sua fede è passione e lotta, nuova ogni giorno come ogni giorno nuovo è l'amore del Dio vivo. Anche chi non crede, però, può "sentire" a Gerusalemme che la storia lì scritta lo riguarda, non solo perché custodita nel Grande codice della cultura e dell'ethos di gran parte dell'umanità, ma anche e soprattutto perché la lotta con l'Altissimo non può essergli indifferente, se percepisce anche solo per testimonianza d'altri o inquietudine del proprio cuore lo stupore della ragione di fronte al mistero. La memoria di cui è intrisa la Terra Santa dei popoli è sfida e promessa: e i giovani, forse i più pronti a raccogliere il dono, perché i più aperti al domani, hanno qui tanto da poter dire e insegnare ai dotti e ai sapienti di una civiltà troppo spesso più incline al tramonto, che all'aurora di un nuovo domani. Anche per questo a tutti deve stare a cuore l'augurio del Salmo 121(122): «Chiedete pace per Gerusalemme… sia pace nelle tue mura, sicurezza nei tuoi palazzi. Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: su te sia pace! Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene».
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