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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2014 alle ore 08:25.
L'ultima modifica è del 03 agosto 2014 alle ore 15:22.

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Ieri dal Presidente del Consiglio è venuto un segnale nuovo in due direzioni: la prima nel senso che un processo di riforma del Paese, con l'obiettivo della competitività, passa anche dalla innovazione dei modelli di governo delle infrastrutture e dei trasporti; la seconda nel senso che l'Italia deve essere propositiva anche rispetto alle istituzioni europee (che frenano). Più nello specifico, sembra che il Governo muova dal principio di sussidiarietà secondo il quale il contributo pubblico non può essere esaustivo per la realizzazione delle opera pubbliche: ed è quindi indispensabile promuovere l'impiego di capitali privati e traffici internazionali non solo per aumentare il Pil nazionale di un punto (come calcolano gli economisti), ma anche per assicurare il finanziamento dei corridoi stessi. Tale approccio implica alcuni modelli organizzativi del tutto nuovi per il nostro Paese, anche se totalmente dentro alle tradizioni europee, che in parte trapelano dall'annuncio del Governo.

In primo luogo si annunciano alcune disposizioni di semplificazione delle procedure che assicurino la realizzazione dei progetti nei tempi pianificati, e, specialmente, l'introduzione di un principio di certezza del diritto coerente con il diritto dell'Unione Europea: si tratterebbe di novità importanti per aprire agli investitori stranieri oltrechè per convincere i partners europei ad una valutazione flessibile in ordine alle voci che costituiscono il rapporto fra debito e Pil (il fatto che le infrastrutture pianificate si realizzino nei tempi previsti davvero ha molta influenza sul giudizio che a Bruxelles e Berlino si da del nostro paese!). In secondo luogo si annuncia una revisione su base volontaria dei contratti di concessione per la gestione di infrastrutture rivolta a promuovere investimenti privati importanti per la crescita equilibrata e la coesione. Non si tratta di finanziare questi investimenti con la proroga delle concessioni, che il diritto dell'Unione Europea consente solo in casi circoscritti, ma di adottare misure, che spettano a ciascuno Stato Membro, e che, a talune condizioni, la Commissione Europea può autorizzare nell'ambito di una procedura di "concorrenza per il mercato", per assicurare investimenti (e quindi la realizzazione delle TenT), tariffe eque e, specialmente, servizi di qualità. Così che, rispetto al sacrificio del "mercato interno" si contrappongano e prevalgano obbiettivi di coesione, di crescita equilibrata e specialmente di tutela dell'utente. Uno sforzo che genererebbe, secondo il Governo, investimenti privati per 10 miliardi. In terzo luogo, in una situazione dove il traffico internazionale/comodale avente origine/destinazione l'Italia ed i suoi porti è molto limitato, pare a molti necessario (i) "forzare il mercato" premiando le imprese che trasferiscono nel nostro Paese basi intermodali (attraverso la leva fiscale e contributiva), e (ii) "aprire il mercato" sopprimendo, previa loro individuazione (per corrispondere ad una precisa indicazione della Corte costituzionale), le barriere di accesso non giustificate da esigenze di funzionamento del mercato. In quarto luogo, anche seguendo l'esempio di Paesi simili al nostro, pare necessario individuare nuovi strumenti finanziari pubblici per sostenere la realizzazione delle infrastrutture a rete. Come è pensabile che il nostro Paese, con i suoi problemi di conti e di finanza risalenti costruisca davvero contemporaneamente il Brennero, il III valico, la Lione Torino ecc. senza mettere in gioco le sue infrastrutture logistiche (la funzione delle quali non dovrebbe comunque essere alterata)? Si tratta di rendere produttivi beni pubblici oggi poco o male utilizzati proprio sposando la logica europea che distingue nettamente fra proprietà e funzione del bene. In questo contesto va segnalata la proposta del Presidente della Regione Liguria Claudio Burlando che, partendo dal modello nordeuropeo e dalle stesse indicazioni internazionali, valorizza l'uso dello strumento societario anche per la gestione delle infrastrutture portuali, con che restino allo Stato le funzioni strategiche e regolatorie: società di investimento/gestione pubbliche che, capitalizzate con il demanio portuale e retro portuale, consentirebbero di escludere dai conti dello Stato 10 miliardi di risorse oggi stanziate per le TenT, e che, oltretutto, potrebbero dialogare con le imprese di investimento/gestione di aeroporti e di autostrade.

L'autore è odinario diritto dell'Unione europea all'Università di Udine

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