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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2014 alle ore 07:21.
L'ultima modifica è del 07 agosto 2014 alle ore 08:13.

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La lettera di Renzi ai parlamentari della maggioranza costituisce la prima risposta politica del premier ai dati Istat. Una risposta che deve essere convincente, per evitare che il governo si ritrovi fucilato dalle cifre della nuova recessione. E allora ecco che Palazzo Chigi chiede più coraggio, più determinazione, più fiducia. Lo chiede ai parlamentari, ma soprattutto agli italiani.


Non c'era nient'altro da fare in prima battuta. Rivendicare la linea della riforme. Ribadire che «la direzione è giusta», come ha detto il sottosegretario Delrio: e pazienza se l'espressione sollecita qualche ovvia e amara ironia, data la situazione. Ma in effetti al momento si può solo promettere più rapidità nelle riforme e maggiore incisività. Renzi ha investito tutto sull'ottimismo e sulla fiducia: nonostante le dure repliche della realtà, adesso non può tradire se stesso. Ma se l'investimento sulla fiducia rimane inalterato, quello in ottimismo è stato ridimensionato, per non dire annichilito, dalle statistiche.
D'altra parte, il presidente del Consiglio si prepara a celebrare oggi la sua vittoria politica con la riforma del Senato che sta per essere votata da Palazzo Madama. È una carta che in questo clima egli giocherà senza esitazione: la riforma del «bicameralismo» come annuncio di una sorta di "primavera italiana", come grimaldello per far saltare via via tutte le roccaforti conservatrici che ingessano il paese e gli impediscono di crescere. Sotto questo aspetto, il discorso che Renzi farà oggi in aula è piuttosto prevedibile. Avendo puntato tante energie sulla riforma istituzionale, è logico che egli la usi per tamponare l'effetto drammatico dei dati economici. E per rinnovare, anche in questo caso, la richiesta di fiducia.

Sappiamo che in giro si respira parecchio scetticismo sulle virtù salvifiche del nuovo Senato delle regioni. Ma per Renzi si tratta di una carta politica importante, una delle poche che siano a disposizione nel mazzo. Quindi tenterà di guadagnare tempo senza compromettere un rapporto con l'opinione pubblica che resta assai buono e rappresenta il suo vero puntello. Eppure tutto questo rischia di non bastare. Proprio ieri si è svolto il nuovo incontro fra il premier e Berlusconi e faceva una certa impressione osservare i capi dei due maggiori schieramenti discutere di riforma elettorale, di soglie di sbarramento e preferenze proprio nel giorno in cui vengono sconvolte tutte le previsioni sulla ripresa della produzione. Peraltro è stato un incontro poco significativo, fatto per dimostrare che l'intesa fra i due è sempre operativa. La riforma elettorale si farà, certo, ma più in là.
E allora in tanti si domandano se non sia il caso di trasferire le priorità dell'economia all'interno di questo strano "patto" che di fatto è una maggioranza allargata. È singolare che quasi nessuno da Forza Italia apra un'offensiva contro il governo per la crescita sotto zero. A parte Renato Brunetta, l'atteggiamento del partito di Berlusconi è più che conciliante. Segno che la convergenza non riguarda solo le riforme istituzionali, ma è un'attitudine politica e psicologica più profonda.

Sarebbe interesse di Renzi, in primo luogo, farsi forte di questa sintonia, invece di restare aggrappato al velo un po' ambiguo della doppia maggioranza. Un esempio: al termine della polemica con il commissario alla spesa pubblica, Cottarelli, il premier ha rivendicato il primato della politica rispetto ai tecnici nel determinare entità e qualità dei tagli. Bene, ma allora il "patto del Nazareno", anziché limitarsi a un balletto intorno alla legge elettorale, dovrebbe affrontare una questione politica drammaticamente urgente quale è la riduzione della spesa. Se non ne parlano fra loro i due maggiori partiti del Parlamento, chi deve farlo?

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