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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2014 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 09 agosto 2014 alle ore 09:30.

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Molti europei sono ormai convinti di essersi lasciati la tempesta economica e finanziaria alle spalle. Negli ultimi due anni, d'altronde, deficit e debito si sono stabilizzati, gli interessi sul debito sovrano delle economie più deboli della periferia dell'eurozona sono calati drasticamente, il Portogallo e l'Irlanda hanno terminato i rispettivi programmi di salvataggio e l'ipotesi che la Grecia uscisse dall'euro è rientrata. Tutto questo è vero, ma c'è un grosso problema: la crescita economica dell'Unione europea resta anemica. Gli esperti stanno rivedendo al ribasso le stime di crescita dell'eurozona per il 2014 fino all'1% annuo.
Tre problemi - debito sovrano, euro e instabilità bancaria - ostacolano l'economia europea nonostante le numerose misure di sicurezza varate di recente, tra cui il Meccanismo europeo di stabilità (MES), la politica del denaro facile e le partecipazioni del debito sovrano della Banca centrale europea e il subentro della Bce nella supervisione delle circa 130 maggiori banche paneuropee, avvenuto a novembre. Nessuna di queste riforme si è dimostrata sufficiente per ripristinare quella crescita forte di cui l'Europa ha un disperato bisogno.

Il diffuso malcontento economico si riflette nella recente instabilità politica. Le elezioni del Parlamento europeo dello scorso maggio hanno sconvolto le élite europee evidenziando un forte avanzamento in molti paesi dei partiti di estrema destra, euroscettici e anche di sinistra. I leader eletti devono affrontare un compito arduo: emanare difficili riforme strutturali dei mercati del lavoro, dei sistemi pensionistici e delle tasse.
L'Europa ha davanti a sé tre opzioni. La prima è mantenere lo status quo, il che significa raffazzonare delle risposte alle mini crisi future man mano che queste si presenteranno, come è sempre avvenuto negli ultimi anni. La seconda opzione prevede una riforma strutturale seria e concertata che, come minimo, preveda una revisione delle norme sul lavoro, dei sistemi pensionistici e delle clausole anti-crescita dei codici tributari. Tale riforma includerebbe, inoltre, un intervento incisivo volto a ridurre l'eccesso di debito sovrano che rimane uno dei principali ostacoli alla crescita e continua a minacciare alcune banche europee.

La terza opzione è ripensare l'Unione europea stessa, dall'euro alle sue istituzioni fondamentali. Come accordo di libero scambio, l'Ue è stata un grande successo, ma oggi l'euro ha senso da un punto di vista economico solo per un sottogruppo di membri dell'eurozona, non per paesi come la Grecia nella sua situazione attuale. Alcuni economisti hanno proposto un euro a doppia velocità, con paesi "problematici" che utilizzano un "euro di serie B", che fluttua rispetto all'"euro di serie A", finché non ottemperano alle norme economiche e finanziarie stabilite guadagnandosi così la possibilità di rientrare nell'eurozona.
Anche se è improbabile che nel prossimo futuro si facciano grandi progressi sulla falsariga della seconda e terza opzione, i leader europei dovrebbero costantemente verificare ciò che funziona e ciò che, invece, va rivisto. Le recenti elezioni sono state un campanello d'allarme ed è ora che i leader europei aprano gli occhi

(Traduzione di Federica Frasca)
© PROJECT SYNDICATE, 2014

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