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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2014 alle ore 07:00.
L'ultima modifica è del 12 agosto 2014 alle ore 16:31.
La vera svolta si è avuta con la guerra in Siria quando Abu Baqr al Baghdadi, fino ad allora un leader secondario nella cosmogonia jihadista, ha intuito come saldare il conflitto siriano a quello iracheno facendo leva sul risentimento sunnita: da una parte il regime minoritario alauita di Bashar Assad, dall'altro quello sciita di Baghdad, tutti e due alleati di Teheran e degli Hezbollah libanesi. Più o meno consapevolmente tutti hanno aiutato il Califfo Ibrahim (il vero nome di Baghdadi, originario della famiglia Badri di Samarra). La Turchia lasciando aperte le frontiere in Siria al reclutamento dei combattenti, le monarchie del Golfo appoggiando il tentativo di rivincita sunnita in funzione anti-iraniana, il governo di Baghdad perseguendo dissennate politiche discriminatorie nei confronti dei sunniti. Mentre l'Occidente continuava a non voler capire, alla vana ricerca di gruppi moderati da sostenere già da tempo spazzati via dagli estremisti.
Persino la vecchia Al Qaeda ha perso la partita: sempre più militanti provenienti da ogni parte si arruolano con il Califfo di successo, ormai capace di autofinanziarsi. Ma alla Chiesa caldea di Saint Joseph a Erbil questi alati ragionamenti non interessano: centinaia di profughi si ammassano ovunque, curdi, cristiani, yazidi, uomini, vecchi, donne, bambini. Bevono e si lavano a una sola fontana. Generazioni sopravvissute ad altre guerre, prima quelle di Saddam, poi degli americani, e ora in fuga dal nuovo Califfo: forse dobbiamo loro qualche cosa di più di una spiegazione.
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