Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2014 alle ore 06:45.
L'ultima modifica è del 13 agosto 2014 alle ore 07:18.

My24

Amatissimo da almeno tre generazioni di spettatori, con un fisico massiccio e piuttosto tozzo che contrastava con la luminosità disarmante degli occhi azzurri e con la tenerezza che spesso il suo volto esprimeva, Robin Williams ha incarnato la follia e la saggezza, la libertà di spirito e la capacità di adattamento, l'amico, il padre (e a volte la madre), il complice, il maestro che tutti vorrebbero avere. Quando lunedì sera si è diffusa la notizia della sua morte per suicidio, a 63 anni, nella sua casa californiana, web e social network hanno cominciato a riempirsi di messaggi della comunità hollywoodiana e di ammiratori.

Fra questi ammiratori, alcuni anche "eccellenti" come il presidente Obama, che ne ha riassunto la figura in un tweet molto sentito. Una morte che nessuno si aspettava, nonostante la grave depressione e i problemi di alcolismo contro i quali l'attore combatteva da anni, forse perché, sotto le sue frenetiche, irresistibili tirate comiche (era un grande stand-up comedian), dietro i suoi travestimenti e le sue selvagge incursioni nel mondo dei normali, si percepiva sempre una solidità, di ideali, di umanità, di giustizia, che lo agganciavano alla terra e alla vita, da vivere, nonostante tutto.

Questo aveva trasmesso tante volte nei suoi film, nei panni del professor Keating (il suo personaggio più famoso, in L'attimo fuggente di Peter Weir), in quelli del dottor Sayer (in Risvegli di Penny Marshall, dal libro di Oliver Sacks) o del dottor McGuire (in Will Hunting - Genio ribelle di Gus Van Sant, che gli valse l'unico Oscar, come miglior attore non protagonista) o del bambino nel corpo di un uomo in Jack di Francis Ford Coppola. Ma c'era anche il rovescio della medaglia: sotto la mitezza e l'adattabilità di tanti personaggi, brillava il lampo dell'irrequietezza, della ribellione, dell'eccentricità (o addirittura della crudeltà, come in One Hour Photo di Mark Romanek e soprattutto in Insomnia di Christopher Nolan, dove interpretò il suo unico cattivo a tutto tondo, un serial killer molto maligno), rivelato dagli stessi occhi limpidi e dalle stesse labbra sottili che si aprivano al sorriso. Troppo spesso considerato "solo" un comico o, soprattutto, un "buono", in realtà è stato un attore capace di sfumature estremamente inquietanti.

Nato a Chicago nel 1951, vissuto nella Marin County, in California, diplomato all'inizio degli anni Settanta, abbandona la facoltà di Scienze Politiche per iscriversi alla Juilliard School di New York e studiare recitazione. Comincia in teatro, ma diventa famoso in televisione, nel 1978, nella parte di un alieno con i capelli ispidi, l'eloquio incontenibile e una tutina rossa alla Star Trek, nella serie Mork & Mindy, che prosegue fino al 1982. L'esordio cinematografico è altrettanto eccentrico: Williams salta, fa a pugni, canta, balla, s'innamora nei panni dell'eroe di carta Braccio di Ferro in Popeye (1980) di Robert Altman. Il maestro degli anni Settanta ha visto giusto: il sogghigno è perfetto, la vitalità e l'ingenuità pure. Come vedrà giusto Paul Mazursky, quattro anni dopo, scritturando Williams per la parte del sognatore russo sperduto a New York in Mosca a New York. Ma il vero exploit cinematografico arriva nel 1987, con la parte del disc jockey Adrian Cronauer (relamente esistito), conduttore della radio dell'esercito americano a Saigon, durante la guerra del Vietnam: in Good Morning, Vietnam di Barry Levinson, l'attore va al massimo; attaccato al microfono della radio, è isterico, ironico, tragico, pazzo, travolgente. Vince il Golden Globe, ma non l'Oscar, al quale è candidato.

Come non lo vince nel 1989 per L'attimo fuggente, nonostante quella del professor Keating sia forse la sua interpretazione più complessa, quella dove tutte le sue facce si sovrappongono, tra un lungo brano da Shakespeare e una partita a baseball, tra un invito a seguire le proprie vocazioni e un richiamo alla responsabilità.
Da qui in avanti, la sua carriera diventa leggenda; è l'attore per le parti stravaganti (come il clochard alla ricerca del Santo Graal nel magnifico La leggenda del Re Pescatore di Terry Gilliam, o il giocherellone Leslie Zevo di Toys di Chris Columbus), la figura paterna, il vicino, l'amico affidabile e, soprattutto, l'impersonatore per eccellenza: è stato una tata energica, creativa e insostituibile in Mrs. Doubtfire (1993) di Chris Columbus, Armand, fidanzato di Albert, in Piume di struzzo (1996) di Mike Nichols, remake di Il vizietto, il robot positronico Andrew Martin in L'uomo bicentenario (1999) di Columbus, il presidente Theodore Roosevelt in Una notte al museo 1, 2 e 3 (2007, 2009 e 2014), il presidente Dwight Eisenhower in The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca (2013) di Lee Daniels. Come per tanti altri comici, forse solo dall'unione di tante facce ci si può avvicinare a quella vera. Sua figlia Zelda Williams lo ha ricordato su twitter con una brano da Il piccolo principe di Saint-Exupéry, fiaba, come tante altre, tristissima. E forse la verità su Robin Williams sta anche in un'altra storia per (eterni) ragazzi: quel Peter Pan, che ha interpretato come un adulto spaesato e indomabile in Hook, la bella versione di Steven Spielberg del libro di Barrie. Anche quello, in fondo, un "Capitano! Mio capitano!".

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi