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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2014 alle ore 09:15.
L'ultima modifica è del 15 agosto 2014 alle ore 09:42.

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Per i leader dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), l'annuncio dell'accordo per la creazione di una nuova banca per lo sviluppo e di un fondo di riserva per le emergenze, è stato un successo di immagine. L'opportunità di una trionfale foto di gruppo è stata apprezzata dalla presidente brasiliana Dilma Rousseff e dal presidente russo Vladimir Putin, la prima con la popolarità in calo per l'ignominiosa sconfitta della Seleção ai Mondiali e lo stato difficoltoso dell'economia, e il secondo alle prese con la reazione internazionale per il sostegno offerto dal suo Governo ai ribelli filorussi in Ucraina.

L'accordo, per i cinque Paesi, è stato anche un'occasione per ribadire la loro insoddisfazione nei confronti della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale e del ruolo del dollaro nel sistema monetario globale. I Brics possiedono appena l'11% dei voti nell'Fmi, nonostante rappresentino oltre il 20% dell'attività economica globale. Il Congresso degli Stati Uniti rifiuta di ratificare l'accordo raggiunto nel 2010 per correggere questa distorsione. E sempre gli Stati Uniti non hanno mostrato alcuna disponibilità a rinunciare al loro anacronistico privilegio di nominare il presidente della Banca mondiale.

Nel frattempo, la quota della moneta Usa nelle riserve mondiali in valuta estera rimane superiore al 60%, mentre l'85% delle transazioni internazionali in valuta estera è effettuato in dollari. Considerando la riluttanza dei Paesi sottorappresentati a sottoscrivere le linee di credito precauzionali dell'Fmi, le Banche centrali che hanno un disperato bisogno di dollari possono ottenerli solo dalla Federal Reserve. La Fed è stata ragionevolmente disponibile a garantire swap in dollari in occasione dell'ultima crisi, nel 2008, ma nulla assicura che si comporterà allo stesso modo in futuro.
Insomma, l'insoddisfazione dei Brics per lo status quo è comprensibile. Il dubbio è se questa nuova banca e questo nuovo fondo di riserva potranno cambiare qualcosa.

La logica alla base della nuova banca per lo sviluppo sembra inappuntabile. I Brics, e in generale i Paesi in via di sviluppo, hanno enormi necessità in materia di infrastrutture. La Cina questo problema non ce l'ha, ma ha grandi imprese di costruzioni che vedono con entusiasmo l'opportunità di portare avanti altri progetti in altri Paesi. Gli incentivi dei futuri creditori e prestatori di questa banca, dunque, sono perfettamente in linea.
Inoltre, di banche regionali per lo sviluppo ne esistono già parecchie, dalla Banca interamericana per lo sviluppo e la Banca asiatica per lo sviluppo alla meno capitalizzata Banca africana per lo sviluppo. Tutte queste istituzioni collaborano con la Banca mondiale e la loro esistenza non crea grandi problemi alle istituzioni di Bretton Woods.
Nemmeno la nuova banca dovrebbe creare problemi. Con un capitale iniziale di appena 100 miliardi di dollari, è troppo piccola per dare un contributo importante alle necessità infrastrutturali globali. Ma la capitalizzazione inadeguata è un fatto che può essere corretto con il tempo.

Il fondo di riserva (che punta ad allentare la dipendenza dei Brics dalla Fed e dal dollaro) è un'altra storia. I cinque partecipanti hanno concordato di destinare 100 miliardi di dollari delle loro riserve in valuta estera a linee di swap a cui tutti i Paesi membri possano attingere.
Ma in questo caso gli interessi dei futuri debitori e prestatori non sono così chiaramente compatibili. Il prossimo Paese dei Brics che sarà colpito da una crisi vorrà attingere a questo fondo di riserva, ma gli altri membri saranno reticenti a prestargli somme superiori a quelle stabilite, specialmente se esistono dubbi sulla capacità di rimborso. A differenza dei finanziamenti per lo sviluppo, qui gli incentivi dei potenziali prestatori e debitori sono in contraddizione.
Il problema può essere risolto consentendo ai prestatori di imporre condizioni di politica economica ai debitori, e tenendo sotto osservazione l'applicazione di tali condizioni. Ma imporre condizioni a uno Stato sovrano è una faccenda delicata, specialmente se i Paesi coinvolti sono grandi, orgogliosi e variegati come i Brics. È difficile immaginare il Brasile, per esempio, che accetta di farsi imporre condizioni di politica economica dalla Cina.

Altri tentativi di creare delle reti per line di swap e credito, come l'Iniziativa di Chiang Mai, lanciata in seguito alla crisi asiatica, sono stati funestati dallo stesso problema. La rete dell'Iniziativa di Chiang Mai era ancora più ampia di quella del fondo creato dai Brics, ma gli interessi divergenti di prestatori e debitori alla fine hanno fatto sì che non venisse mai usata, nemmeno nel 2008, all'apice della crisi finanziaria globale.
Gli ideatori dell'Iniziativa di Chiang Mai hanno cercato di uscire dall'impasse imponendo a quei Paesi che usano più del 30% dei loro swap di negoziare un programma di aiuto con l'Fmi. Ironia vuole che il trattato per l'istituzione del fondo di riserva dei Brics contenga la stessa identica clausola, con buona pace di chi vede questo fondo come alternativa all'Fmi. E se l'inclusione di questa clausola non fosse già sufficientemente indicativa, possiamo aggiungere che gli impegni di versamento dei Brics al fondo sono espressi in dollari americani.
La banca per lo sviluppo ha un senso e un futuro per i Brics. Ma il fondo di riserva è un atto simbolico privo di sostanza, e come tale passerà alla storia.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

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