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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2014 alle ore 14:27.
L'ultima modifica è del 17 agosto 2014 alle ore 15:00.

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Ogni 17 agosto ho sempre ricordato la scomparsa di Francesco Cossiga collegando la sua eredità di pensiero e di azione all'attualità. Quale occasione migliore offerta dalla riforma del Senato testé passata al vaglio dell'istituzione più direttamente coinvolta?

Con Pasquale Chessa abbiamo finito di curare per i tipi della Rubbettino - un editore intelligente e generoso che onora la sua categoria - gli Atti del convegno tenutosi il 4 marzo di quest'anno nella Sala Zuccari del Senato sul Messaggio alle Camere inviato il 26 giugno 1991 dal presidente Cossiga per sollecitare quella riforma radicale del parlamentarismo italiano, ossia delle regole del metodo democratico, che era più che matura già un quarto di secolo orsono. Il libro sarà disponibile ai primi di settembre e potrà essere di una qualche utilità per la seconda tappa dell'approvazione, quella della votazione del provvedimento alla Camera dei deputati.
Lo scopo dell'iniziativa di Cossiga è indicato nella sua stessa lettera di trasmissione al Presidente della Camera Nilde Jotti: «Nella parte introduttiva del messaggio ho rievocato la cornice storico-politica nella quale si addivenne alla formulazione e all'approvazione della Costituzione e che, naturalmente, incise profondamente sulle scelte che ne derivarono per l'assetto istituzionale». Nel testo del Messaggio egli riconosce che la «provvisorietà di talune delle soluzioni adottate dai Padri costituenti e della consapevolezza che essi ebbero della necessità che alcuni istituti dovessero essere ancora ripensati alla luce dell'esperienza, e se necessari riformati. Su questo tema sono state scritte da alcuni dei nostri maggiori pensatori in tutto l'arco dell'esperienza costituzionale repubblicana, da Croce a Calamandrei, a Salvemini, Jemolo e Bobbio, con parole talvolta aspre e dure. Se Croce si limitò a definire il testo elaborato dai 75 come il frutto di un "reciproco concedere e ottenere", Calmandrei - aggiunge con spirito pungente tutto cossighiano - giunse sino a paragonarlo a un libertino di mezza età al quale un'amante giovane aveva strappato tutti i capelli bianchi per ringiovanirlo e una vecchia moglie tutti i capelli neri per invecchiarlo, sicché alla fine era rimasto calvo del tutto».

Sempre nella Lettera precisa che ha ritenuto «di ricordare lo straordinario sviluppo economico, sociale e culturale, che, con il contributo di tutte le forze politiche ed alla luce proprio dei grandi valori consacrati nella Costituzione - che rimane, da questo punto di vista, una preziosa fonte di ispirazione ed un fermo quadro di riferimento - ne seguì per il nostro Paese. Le stesse connotazioni di questo sviluppo, la profonda maturazione del popolo italiano e della società civile, i grandi avvenimenti che si sono verificati in Europa in questi ultimi anni, pongono però in risalto l'inadeguatezza del nostro apparato istituzionale e le difficoltà, da tanti lamentate, che comporta per il Governo, per il Parlamento, per tutte le istituzioni repubblicane il dover affrontare, con gli strumenti oggi a disposizione, i gravi ed incalzanti problemi posti, da un lato, dall'urgenza di adeguarsi alle imminenti scadenze europee e, dall'altro, dalla priorità di por man a risolvere almeno le più preoccupanti questioni interne, quali la criminalità organizzata (cui è in parte connessa la crisi del "sistema giustizia"), l'indebitamento pubblico, l'ammodernamento dei servizi».

Il dibattito apertosi con questo Messaggio si è svolto, soprattutto recentemente, in modo piuttosto confuso e cedo alla facile retorica di sottolineare che si è avvertita l'assenza di una mente politica fine come quella di Francesco Cossiga per imprimere ad esso un preciso orientamento. Nel ricordarlo da semplice cittadino raccomando i riformatori di tenere in debita considerazione i suoi suggerimenti per evitare il ripetersi della calvizie costituzionale di Calamandrei.

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