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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 21 agosto 2014 alle ore 07:50.

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La lowflation soffoca la ripresa e chiama in causa la Banca centrale europea, l'unica istituzione in Europa libera di fare politiche macroeconomiche. A nostro avviso c'è troppa poca discussione intorno alle sue scelte e troppo conformismo nei giudizi degli osservatori. Le sue responsabilità sono molto sottovalutate.

Nel 2011 sostenne che la crisi finanziaria non dipendeva da lei; ma il 26/7/12 a Mario Draghi fu sufficiente dichiarare il contrario: la comparsa di un lender of last resort si dimostrò condizione necessaria e sufficiente a por fine alla crisi finanziaria. Poi la Bce sostenne che il calo degli spread avrebbe rilanciato la crescita nel 2013: debolezza della domanda e austerità non erano un problema. Di nuovo si sbagliava. La svolta dello scorso 5 giugno ha smentito che «la depressione dipende dall'insufficienza di riforme strutturali, perciò la banca centrale non può fare di più».

La Bce ha implicitamente ammesso che: (1) la produttività ha poco a che vedere con i problemi attuali dell'Eurozona: questi hanno origine in una prolungata depressione della domanda; (2) tale depressione è meritevole di attenzione: non è "di breve termine" e non si risolve da sé. D'altro canto, recenti stime di Ocse e Fmi confermano che oggi l'offerta dipende dalla domanda, non viceversa. Fino al 2008 Pil e Pil potenziale sono cresciuti assieme: dal 2009 il crollo della domanda ha fatto precipitare il Pil. Il Pil potenziale ha resistito a lungo, ma nel 2012 ha iniziato a cedere: in Italia la perdita cumulata è oltre il 7%.

La Bce ha grandi responsabilità per la depressione della domanda. Dal 2012 definisce la politica monetaria "accomodante". Ma nel frattempo l'attivo del suo bilancio è calato di mille miliardi di euro (mentre l'attivo della Fed è cresciuto di un importo analogo). L'offerta di moneta è ferma (M3 0,7%, M2 1,7%; Usa+6,5%). Le riserve bancarie presso la Bce sono scese da 800 a 100 miliardi: perciò i tassi negativi introdotti per stimolare il credito incideranno su fondi assai limitati. La riduzione dei tassi nominali inoltre non frena i tassi "reali", spinti verso l'alto dal calo dell'inflazione.

L'obiettivo d'inflazione nel 2009-14 è stato mancato: la media è stata 1,3%; si resterà sotto l'1,5% fino almeno al 2016. Un anno fa la Bce si disse «preoccupata», ma ha atteso 10 mesi per intervenire, mantenendo tassi più alti di quelli suggeriti dalla Taylor rule (regola d'oro dei banchieri centrali). Draghi considera le aspettative d'inflazione «saldamente ancorate al 2%», ma i mercati obbligazionari (Tips) incorporano un'inflazione media nei prossimi dieci anni di 1,3%!

Le politiche della Bce hanno destabilizzato molti debitori. In Italia, un punto e mezzo d'inflazione aumenta il debito pubblico di due punti di Pil all'anno, tre con gli effetti indiretti. L'impatto sui debiti di famiglie e imprese (che l'Ocse stima al 188% del Pil) potrebbe essere ancora più forte. Avvantaggiando i creditori, la Bce frena il deleveraging - quindi la domanda interna - e il riequilibrio della competitività con la Germania (domanda estera). Draghi ritiene ora di avere in mano «a significant package». Per la prima volta la Bce utilizza tutto lo spazio delle politiche convenzionali; e varca la soglia delle politiche non convenzionali. Basterà?

Le politiche monetarie non convenzionali sono essenzialmente di due tipi: la Forward Guidance e il Quantitative Easing (Qe). La prima mira ad alzare le aspettative di inflazione per abbassare i tassi reali "percepiti", stimolare il credito, e la propensione all'investimento. Si fa alzando l'obiettivo d'inflazione; i Trattati europei non frappongono ostacoli. Ma la Bce si limita ad annunciare "tassi bassi" per lungo tempo. Essa continua inoltre a rimandare il Qe perché non vuole comprare titoli pubblici: attende lo sviluppo del piccolo mercato europeo degli Abs (meno rischiosi?). Potrebbe intanto acquistare titoli americani, inglesi, svizzeri, ecc., svalutando l'euro en passant. È difficile, invece, che i fondi TLTRO, da settembre a disposizione delle banche per prestiti alle Pmi, aiutino la ripresa. Le banche europee hanno sofferenze elevate: perché dovrebbero offrire nuovo credito, oltre a quello già offerto ai clienti migliori, aumentando ancora i rischi in portafoglio? Perché le imprese dovrebbero fare nuovi investimenti se le vendite non ripartono? Tanto più quelle italiane, con debiti "in eccesso" per 400 miliardi (Visco). La lowflation indica che per rilanciare la domanda occorre innanzitutto alzare l'offerta di moneta e le aspettative sui prezzi, e ridurre i rischi di disoccupazione.

Le responsabilità della Bce vanno oltre la politica monetaria. Promuove austerity e deregulation del mercato del lavoro, forte del suo status e dell'assenza di check and balances democratici europei. Influenza persino la composizione dei bilanci pubblici (Francia), sostenendo che l'austerità è growth friendly se taglia la spesa invece di alzare le tasse: il contrario di quanto insegna l'economia (T. di Haavelmo) quando il vincolo alla crescita proviene dalla domanda! Altrove, le banche centrali si coordinano con la politica di bilancio: dichiarandosi senza riserve lender of last resort consentono ai governi di indebitarsi a tassi bassissimi; o comprano titoli pubblici e girano loro gli interessi.
La Bce è il centro ideologico dell'Eurozona: senza una discontinuità politica non diventerà mai una banca centrale normale. La retorica dell'austerità cum riforme strutturali è ormai separata dall'analisi della crisi che ha prodotto la "svolta" del 5 giugno: e però, la Bce ha grandi difficoltà a capire e applicare le politiche keynesiane. L'assetto istituzionale è strutturalmente carente: l'interpretazione dei Trattati non è affidata a un organo terzo (Parlamento Ue), né vi è controllo sulla performance dei banchieri centrali, istintivamente avversi all'inflazione più che alla disoccupazione. Per uscire dal disastroso paradigma vigente nell'Eurozona urge un negoziato - discreto, ma di alto livello - sulla Bce.

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