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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2014 alle ore 07:41.
L'ultima modifica è del 02 settembre 2014 alle ore 08:54.

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Il successo ottenuto da Renzi su Lady Pesc dopo il lungo braccio di ferro con i Paesi dell'Est se soddisferà alcune esigenze di politica interna (meglio, alcuni equilibri dentro il Pd) rischia di costare molto caro all'Italia sia nel difficile negoziato sulla flessibilità sia in termini di posizioni di vertice nell'organigramma delle istituzioni europee.

Il premier Matteo Renzi non perde occasione per ostentare sicurezza. Ieri in conferenza stampa a Palazzo Chigi ha fatto sapere che «l'Italia non ritiene di avere chiuso la sua partita in Europa con la nomina di Federica Mogherini». E poiché l'Europa non si esaurisce nell'organizzazione della Commissione, secondo Renzi «si tratta ora di imporre una strategia all'Europa». Strategia che prevede maggiore attenzione alla crescita aumentando i margini di flessibilità del Patto di stabilità. Ma rispetto alle dichiarazioni di qualche mese fa ora Renzi parla di flessibilità solo sotto il 3%, non sopra. Margini, questi ultimi, già negoziati con successo dall'ex premier Mario Monti nel suo ultimo Consiglio europeo del marzo 2013. La sensazione più diffusa è che Renzi abbia dovuto "rientrare nei ranghi" rispetto alle dichiarazioni più combattive di qualche mese fa proprio per fare accettare il nome della Mogherini alle principali cancellerie che si sarebbero poi assunte l'onere di aiutare l'Italia a soddisfare i Paesi dell'Est offrendo al polacco Tusk la poltrona di presidente del Consiglio Ue. Nel frattempo l'attuale ministro degli Esteri italiano sta cominciando a studiare i dossier di cui si dovrà occupare dal primo novembre che tanto nuovi poi non sono perché coincidono in gran parte con quelli della Farnesina e del semestre italiano. Ma sulla sua successione in Italia Renzi ha scelto il basso profilo: nessun rimpasto in vista. Un ministro lascerà il governo, si dimetterà il 25 o 26 ottobre dopo il voto del Parlamento europeo e «dal giorno prima inizieremo a pensare al sostituto».

La nomina della Mogherini rischia anche di esaurire il nostro potere contrattuale per il difficile negoziato sui posti apicali nelle istituzioni comunitarie. Ormai, dalla presidenza Prodi, non esistono più quote nazionali per gli alti funzionari della Commissione e tutte le caselle per direttori generali (cosiddetti A16) o vicedirettori vanno negoziati caso per caso con attenzione solo ai curricula. Rispetto al periodo del governo Monti che aveva visto una buona presenza di italiani nei posti apicali c'è ora il rischio di una caduta di presenze. Dei nove posti di vertice occupati da italiani tre riguardano pensionamenti già fatti o in vista. Il vicedirettore generale dell'Agricoltura Loretta Dormal è già andata in pensione mentre lo saranno tra breve il direttore del servizio interpretariato Marco Benedetti e Fabrizio Barbaso, vicedirettore generale all'energia. Una posizione di direttore generale conteggiata all'Italia ma attualmente vacante è quella ricoperta da Stefano Sannino (doppia carriera tra Farnesina e Commissione) prima che venisse nominato rappresentante permanente a Bruxelles dal premier Enrico Letta. Fino a qualche mese fa avevamo anche il direttore generale degli Affari interni (immigrazione, asilo, visti) con Stefano Manservisi inviato ad Ankara come ambasciatore della Ue e ora nel Servizio diplomatico europeo. Un posto chiave è quello ricoperto da sei anni da Mario Buti come direttore degli Affari economici. La regola per cui la permanenza massima in quelle poltrone è di cinque anni ha già subito una deroga ma è molto improbabile che, una volta spostato ad altra direzione, il posto di Buti vada ad un italiano. Tutta da decidere è, infine, la sorte di Agostino Miozzo, già stretto collaboratore di Guido Bertolaso, responsabile della protezione civile europea nel Servizio estero guidato dalla Mogherini. Toccherà infine proprio a Lady Pesc scegliere il suo staff. Non sarà un'operazione semplice. La Germania difficilmente rinuncerà ad Helga Schmid (numero due del segretario generale Vimont) come nuovo segretario generale, in sostanza la vera responsabile della struttura forte di 5mila persone.

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