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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2014 alle ore 12:25.
L'ultima modifica è del 03 settembre 2014 alle ore 12:47.

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I banchieri centrali vanno spesso fieri di essere noiosi. A eccezione di Mario Draghi. Due anni fa, a luglio 2012, il presidente della Banca centrale europea colse tutti di sorpresa annunciando che avrebbe fatto «whatever it takes», ovvero qualsiasi cosa, per salvare l'euro. L'impatto fu grande. In questi giorni Mario Draghi ha approfittato del simposio annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole, nel Wyoming, per lanciare un'altra bomba.

Il suo discorso stavolta è stato più analitico, ma non meno ardito.
1) Il governatore della Bce ha preso posizione nel dibattito in corso sulla risposta politica più adeguata per far fronte all'attuale stagnazione dell'eurozona. Draghi ha sottolineato che, oltre alle riforme strutturali, bisogna sostenere la domanda aggregata e che il rischio di fare «troppo poco», supera quello di fare «troppo».
2) Draghi ha confermato che la Banca centrale europea è pronta a fare la sua parte per stimolare la domanda aggregata e ha parlato del quantitative easing, la politica di acquisto di bond, come strumento necessario in un contesto in cui le aspettative inflazionistiche sono scese sotto l'obiettivo ufficiale del 2 per cento.
3) Suscitando la sorpresa dei più, Draghi ha aggiunto che c'è spazio per una posizione fiscale più espansionistica nell'eurozona in generale. Per la prima volta, il governatore ha affermato che l'eurozona ha sofferto per l'insufficienza e l'inefficacia delle politiche fiscali di Usa, Regno Unito e Giappone attribuendolo non agli elevati deficit pubblici preesistenti, ma al fatto che la Bce non potesse fare da cuscinetto finanziario ai governi e risparmiare alle autorità fiscali la perdita della fiducia del mercato. Inoltre, ha auspicato un dibattito fra i membri dell'euro su una politica fiscale unitaria dell'eurozona.

Draghi ha infranto tre tabù in un colpo solo: 1) Ha fondato il suo ragionamento sul concetto eterodosso di un mix politico che combina misure monetarie e misure fiscali. 2) Ha parlato esplicitamente di una politica fiscale comune quando l'Europa ha sempre ragionato solo su base nazionale. 3) La sua affermazione secondo la quale impedire alla Bce di agire come prestatore di ultima istanza comporta uno scotto elevato - rendendo vulnerabili i governi e riducendo il loro spazio fiscale - contraddice il principio secondo il quale la Banca centrale non deve sostenere il prestito ai governi.
Il fatto che Draghi abbia scelto di sfidare l'ortodossia, in un momento in cui la Bce ha bisogno di sostegno per le proprie iniziative, fa capire quanto sia preoccupato per la situazione economica dell'eurozona. Il suo messaggio è che il sistema politico, così come funziona attualmente, non è adatto alle sfide che si prospettano all'Europa, e che sono necessari ulteriori cambiamenti politici e istituzionali.

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