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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2014 alle ore 06:38.

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La malattia italiana non è la deflazione, ma lo scoraggiamento



Ha avuto grande eco nei giorni scorsi il fatto che in Italia, per la prima volta dopo 50 anni, sia riapparsa la deflazione. Sono abbastanza vecchio per ricordare come abbiamo passato anni e anni ad affermare che l'inflazione era il peggiore dei mali, ricordo governi che avevano praticamente come unico punto nel loro programma quello
di combattere l'aumento dei prezzi
e in nome della lotta all'inflazione si sono combattute aspre lotte sociali come quella sulla scala mobile.
Ora mi sembra che, anche grazie
alla moneta unica, la guerra all'inflazione sembra essere vinta e allora mi chiedo se una diminuzione dei prezzi non sia un vantaggio aggiuntivo soprattutto per i consumatori perché questo dà più valore al denaro e aumenta le possibilità di spesa delle famiglie.
Virgilio Longhi
Gentile Longhi, lei in fondo dice che non siamo mai contenti. In effetti quello che preoccupa sullo stato dell'economia non è la deflazione in sé, quanto il fatto che questa sia un fattore aggiuntivo che può aggravare i grandi problemi italiani che si chiamano disoccupazione, calo dei consumi, difficoltà nel fare le riforme. Un fattore aggiuntivo perché il calo dei prezzi invita a rinviare le decisioni di acquisto, almeno quelle che si possono rinviare, per risparmiare ancora di più. E questo costituisce un altro fattore che frena la crescita dell'economia.
Non bisogna tuttavia sottovalutare il fatto che l'attuale deflazione ha alcuni elementi positivi perché è provocata essenzialmente da due fattori: da una parte la flessione dei prezzi dell'energia, perché nonostante le tensioni internazionali, il prezzo del petrolio negli ultimi mesi ha continuato a diminuire, dall'altra l'effetto combinato dell'innovazione tecnologica e della concorrenza dove il caso più evidente è quello delle telecomunicazioni con un calo dei costi sia degli apparati (per intenderci, i telefonini) sia degli abbonamenti offerti dai gestori.
Un altro effetto, positivo, della deflazione unita alla riduzione dei tassi di interesse, è la crescita dei rendimenti reali del risparmio e quindi un aumento della ricchezza delle famiglie, un aumento forse non del tutto percepito per il prevalere degli elementi negativi nello scenario economico, un aumento che quindi non si traduce in una spinta ai consumi.
È anche per una domanda che resta stagnante che molte imprese sono costrette a ridurre i prezzi per poter stare sul mercato e continuare a vendere i propri prodotti. Così facendo tuttavia si riducono i margini e si sacrificano le possibilità di nuovi investimenti e quindi di crescita.
Ogni medaglia ha quindi il suo rovescio. E per rimettere in moto il circolo virtuoso dell'economia l'elemento più importante appare la fiducia nelle prospettive della società, una fiducia che non si deve tradurre solo in decisioni di acquisto, ma anche e soprattutto in investimenti sulla propria vita. La vera malattia italiana non è la deflazione, ma lo scoraggiamento, la delusione, l'attendersi che qualcun altro risolva i problemi.
gianfranco.fabi@ilsole24ore.com
La Germania e l'Europa
È di moda oggi accusare la Germania di esercitare una sorta di egemonia mediante una politica di rigore che la avvantaggia a danno di altri Paesi dell'Unione europea. È sempre comodo cercare un capro espiatorio delle proprie sventure; ma ogni osservatore in buona fede dovrebbe riconoscere che i Paesi che soffrono maggiormente dell'attuale situazione economica sono quelli che per molti anni hanno destinato ai consumi quasi ogni guadagno di produttività, rinunciando a rafforzare le proprie strutture produttive, ad aumentarne
la competitività e a riformare
le proprie inefficienti amministrazioni pubbliche. Se un rimprovero si può rivolgere oggi alla Germania è piuttosto quello di non volersi assumere, decisamente e apertamente, la leadership dell'Unione europea.
Antonino Tramontana
Presidente del Centro studi
di finanza pubblica «Cesare Cosciani»

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