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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2014 alle ore 06:50.
L'ultima modifica è del 11 settembre 2014 alle ore 16:46.

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Nel momento in cui la Scozia si prepara al referendum per l'indipendenza del 18 settembre, il Regno Unito - con l'Europa intera - deve tenersi forte e prepararsi all'impatto di un'eventuale vittoria del campo indipendentista. L'indipendenza scozzese rivoluzionerebbe gli assetti costituzionali sia della Gran Bretagna che dell'Europa.
L'indipendenza darebbe anche una spinta considerevole agli altri movimenti separatisti, dalla Catalogna fino all'Italia settentrionale. L'impatto economico dell'indipendenza della Scozia, tuttavia, sarebbe di gran lunga meno certo.

I fautori dell'indipendenza sostengono di essere motivati prima di tutto dalla peculiarità dell'identità scozzese. Ma se nessuno mette in discussione la storia e le tradizioni peculiari della Scozia, è pur vero che esse sono state modellate da secoli di interazione con l'Inghilterra e con altre aree delle isole britanniche. La questione più urgente per gli scozzesi sono i soldi. Gli ultimi mesi della campagna referendaria sono stati dominati dal dibattito sulla necessità o no per la Scozia indipendente di potere o dovere continuare a utilizzare la sterlina. Gli esiti - per la Scozia, il Regno Unito e l'Europa - potrebbero essere quanto mai vari, a seconda della decisione presa dalla Scozia. Finora i nazionalisti scozzesi hanno ripetuto che la Scozia indipendente dovrebbe mantenere la sterlina. Ma tenuto conto di quanto sarebbe più facile addurre valide motivazioni a favore dell'adozione di una valuta diversa - per non parlare del fatto che il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha respinto la proposta dell'unione valutaria presentata dal primo ministro scozzese Alex Salmond - simili dichiarazioni equivalgono a un vero e proprio autogol.

Il problema dell'idea dei nazionalisti scozzesi è un'immagine speculare del principale difetto della zona euro. Considerato che un'unica valuta non può funzionare senza una politica monetaria comune, e che le situazioni economiche nell'unione valutaria possono differire anche di molto, i singoli membri talvolta potranno essere soggetti a politiche inadatte. Per esempio, durante il boom immobiliare degli anni 2000, Irlanda e Spagna avrebbero dovuto avere condizioni monetarie più rigide, tassi di interesse più alti e rapporti più bassi tra prestiti e asset. Ma la loro appartenenza alla zona euro ha comportato il fatto che governo e prestatori del settore privato hanno tratto beneficio nello stesso modo da tassi di interesse così bassi. Una volta scoppiata la crisi - e che i policy-maker hanno iniziato a cercare le modalità più idonee a costringere le banche a riprendere l'erogazione di crediti a questi e altri paesi in difficoltà - è diventato palese che non c'era uno strumento valido al quale fare ricorso.

Oggi è il Regno Unito a trovarsi davanti a un dilemma simile. Il boom immobiliare nell'area di Londra impone condizioni monetarie più rigide. Ma tassi di interesse più elevati provocherebbero enorme scompiglio economico nel resto del paese, dove la ripresa continua a essere anemica. Oltre tutto, come la Germania, Londra continua ad avere un'enorme eccedenza delle partite correnti (l'8 per cento del Pil) - problema teoricamente molto serio, se si tiene conto dell'effetto deflazionistico che l'eccedenza della Germania ha avuto sul resto della zona euro. Già ora il resto del Regno Unito ha un deficit con l'estero più alto di quello di qualsiasi altro paese industrializzato.

Il comportamento di una valuta può essere influenzato da un settore economico potente e predominante. Nel caso della sterlina si tratta del settore finanziario. Alcuni considerano il rapido declino della sterlina nel 2007 e nel 2008 - che ebbe un deprezzamento del 30 per cento in termini puramente commerciali - come uno stimolo economico quanto mai necessario, tenuto conto della spinta che quel deprezzamento ha avuto ai fini della competitività delle esportazioni.

La politica monetaria indipendente del Regno Unito le ha fornito quel livello di flessibilità di cui le economie della zona euro sono prive. Ma la rinascita della fiducia nel settore finanziario ha fatto sì che la sterlina avesse una forte ripresa (di circa il 18% dalla fine del 2008), e ciò ha eroso gli utili della competitività del Regno Unito. Ciò che è proficuo per la City di Londra non necessariamente è buono per il resto dell'economia. Vi è dunque un fascino innegabile nel tenersi alla larga da un accordo economico che vincoli la Scozia a Londra - fascino che il grande economista scozzese Adam Smith aveva individuato. In verità, il suo lavoro più autorevole, La ricchezza delle nazioni, fu proprio influenzato dalla convinzione che gli interessi della comunità mercantile londinese stavano alterando la politica commerciale britannica.

Tuttavia l'alternativa di mantenere la sterlina presenta anch'essa le sue difficoltà. Secondo l'economista scozzese Ronald MacDonald, una Scozia indipendente dovrebbe avere una propria valuta, che si comporterebbe come una petro-valuta, in ragione della sua dipendenza economica dal gas e dal petrolio del Mare del Nord. Sostituire un settore dominante con un altro, tuttavia, non è un bene per il resto dell'economia scozzese, che perderebbe competitività ogni qualvolta i prezzi in aumento dell'energia dovessero spingere verso l'alto il tasso di cambio. Come le industrie meno competitive sono state costrette ad andare in perdita e a essere insolventi, così l'attività economica diventerebbe ancora più concentrata e specializzata.

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