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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2014 alle ore 07:21.
L'ultima modifica è del 19 settembre 2014 alle ore 08:20.

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Nel secondo trimestre dell'anno, mentre l'economia dell'Eurozona restava stagnante, l'Irlanda è cresciuta dell'1,5% congiunturale, più di qualunque altro Paese dell'area. Se poi si guarda al dato annuale, il ritmo di crescita - +7,7% - è addirittura "cinese", tanto da far affermare al ministro delle Finanze Michael Noonan che nell'intero 2014 il Pil potrebbe superare il 4 per cento.

Certo, cautela e distinguo sono doverosi per un'economia piccola e fortemente influenzata dalle oscillazioni dell'export, che ha registrato in effetti una crescita del 13% rispetto al secondo trimestre del 2013 grazie alla robusta ripresa della Gran Bretagna, partner commerciale di primo piano. Non bisogna tuttavia dimenticare che questo è un Paese uscito appena a dicembre da un piano di salvataggio di aiuti internazionali da 67,5 miliardi, varato nel 2010 dopo che le finanze irlandesi rischiavano il collasso in seguito alla gravissima crisi immobiliare e bancaria; un Paese dunque costretto, sotto l'occhio vigile della troika, a varare un rigoroso percorso di risanamento (sette manovre finanziarie da 30 miliardi) che sta riportando i conti in ordine (il deficit scenderà sotto il 3% nel 2015, mentre il debito resta ancora oltre il 120%). Nonostante ciò la crescita non si è azzerata e anche la disoccupazione ha iniziato a calare.
La ricetta? Un fisco vantaggioso per le imprese, a cominciare dalla corporate tax al 12,5%, ma anche una accresciuta competitività grazie alla riduzione del costo del lavoro. E ora, insieme all'export, cominciano a crescere anche i consumi.

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