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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2014 alle ore 07:25.
L'ultima modifica è del 19 settembre 2014 alle ore 08:10.

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Per gran parte della prima metà del 2014 l'Eurozona ha dato l'impressione di essere sulla via della ripresa, una ripresa fragile e discontinua, ma comunque reale. Ad aprile, il Fondo monetario internazionale stimava che la crescita complessiva del Pil quest'anno avrebbe toccato l'1,2% (contro l'1% della precedente stima), con una disoccupazione in lento calo.

Svanita la minaccia di tassi di interesse insostenibili nella periferia dell'euro, la strada verso una moderata ripresa sembrava ormai aperta. Anche se va detto che non è il caso di enfatizzare eccessivamente i risultati economici di singoli trimestri, è indubbio che gli ultimi dati, e alcuni dei dati rivisti relativi al primo trimestre, sono fortemente deludenti. Il pessimismo di due anni fa ha ripreso il sopravvento, e con fondate ragioni. L'Italia è esplicitamente in recessione e in Francia la crescita, lungi dall'evidenziare gli sperati segnali di vitalità, è prossima allo zero. Perfino in Germania il Pil ha registrato un calo in termini trimestrali nella prima metà dell'anno. La Finlandia, fiera sostenitrice delle più severe politiche di austerity, nei primi sei mesi dell'anno ha dovuto incassare un segno meno davanti ai dati sulla crescita. L'Eurozona in questo momento deve fronteggiare non solo una crisi finanziaria, ma una stagnazione prolungata. Le tensioni con la Russia possono rendere la ripresa ancora più difficile, ed è improbabile che l'Eurozona possa raggiungere una crescita dell'1% nel 2014 senza apportare cambiamenti rilevanti alle sue politiche economiche.

La Banca centrale europea ha annunciato che fornirà supporto all'economia con nuove misure di politica monetaria e ha deciso di usare tutti gli strumenti disponibili tranne l'allentamento quantitativo diretto. Ma se l'Eurotower può fornire l'acqua, non è detto che l'economia europea sia disposta a berla.
Se la crescita e l'occupazione continueranno a stentare, sarà difficile ravvivare la domanda, in particolare gli investimenti delle imprese private. Il problema economico di fondo è chiaro: l'Eurozona ha un bisogno quasi disperato di maggiori margini di manovra sulle politiche di bilancio per rilanciare la domanda aggregata, compresi maggiori investimenti in Germania. Ma persiste anche l'esigenza di profonde riforme strutturali sul versante dell'offerta. Nella maggior parte dei Paesi c'è bisogno di una combinazione variabile di riforme della fiscalità, del mercato del lavoro, del settore dei servizi e dell'istruzione, oltre a riforme dell'amministrazione territoriale, specialmente in Francia.

L'obiettivo di tutte queste riforme dovrebbe essere una rivisitazione radicale del contratto sociale, che tenga conto delle realtà demografiche e dei mercati globali del XXI secolo, ma senza perdere di vista l'attenzione del vecchio continente all'equità distributiva e all'uguaglianza politica, e proteggendo i cittadini dagli scossoni dell'economia. Un'altra cosa da rimarcare è che questo contratto sociale rivisto non potrà essere disegnato Paese per Paese. L'Europa ormai è troppo strettamente intrecciata, in un'infinità di modi, non solo sul piano finanziario ed economico, ma anche psicologico. Il ministro dell'Economia italiano, Pier Carlo Padoan, preme giustamente per l'introduzione di una "scheda di valutazione" dell'Eurozona, che permetta di fare confronti diretti fra le riforme delle singole nazioni. Ma oltre a questa scheda di valutazione, la volontà di uscire dalla trappola della stagnazione non può essere la semplice somma della volontà degli Stati membri. Un nuovo contratto sociale non nascerà dal nulla. La nuova Commissione europea deve proporre (e il nuovo Consiglio europeo e il nuovo Parlamento europeo devono approvare) un patto politico per legittimare e sostenere le riforme necessarie a risolvere i problemi economici del vecchio continente.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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