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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2014 alle ore 06:48.
L'ultima modifica è del 07 ottobre 2014 alle ore 08:42.

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L'uomo, come tutti gli esseri viventi con sistemi nervosi sviluppati, non ha difficoltà a percepire lo spazio tridimensionale e a muoversi in esso, anche se in realtà il mondo non è piatto e fermo bensì sferico e roteante su sé stesso e intorno al sole. Che cosa crea nella coscienza l'evento dello spazio, la consapevolezza di dove in esso ci si trova, la direzione del movimento? Muoversi, trovare e seguire un itinerario dipende da algoritmi nervosi che integrano informazioni circa il posto in cui ci si trova, la distanza e la direzione della destinazione.

L'orientamento spaziale, categoria fondamentale dell'esistenza, dipende dall'intera-zione fra ambiente e meccanismi cerebrali, che si sono sco-perti essere innati perché attivi in animali da laboratorio già al loro primo movimento. Alla nascita è attivo nel cervello un sistema, già in parte strutturato, per la rappresentazione cosciente dello spazio, degli oggetti, e di noi in esso. L'angloamericano John O'Keefe e i coniugi norvegesi May-Britt e Edvard Moser hanno ricevuto il premio Nobel per la medicina per studi estremamente geniali ai quali si deve in buona parte la conoscenza dei meccanismi cerebrali della percezione e dell'orientamento spaziale.

La rappresentazione quantitativa, non solo spaziale, ma spaziotemporale, nella coscienza à dovuta a circuiti dell'ippocampo e paraippocampali composti da tre tipi di cellule, già presenti alla nascita e che evolvono con la crescita. Un tipo di cellule è attivo quando l'animale (ma anche noi, che abbiamo organi dello spazio sostanzialmente identici a quelli dei topi da esperimento) rivolge lo sguardo in una qualsiasi direzione (“cellule della direzione”); un altro produce scariche elettriche quando ci si muove (“cellule dello spazio”) fornendo l'aggiornamento rapido dello spazio e della nostra posizione; le cellule del terzo tipo (“cellule della griglia”) sono attive durante lo spostamento, informando su tutto l'ambiente in cui ci si muove. La rappresentazione continua nella coscienza dello spazio tridimensionale sarebbe il risultato dell'interazione delle cellule spazio e di quelle griglia. Lo spazio tridimensionale rimane fermo e costante anche se muoviamo testa e occhi, grazie all'adattamento immediato a tutte le direzioni delle cellule della direzione e dello spazio. L'ippocampo è anche l'organo chiave della memoria e del senso del tempo. Esso fornisce alla coscienza la continuità della rappresentazione spaziale e del suo svolgimento temporale. I ricordi comprendono lo spazio in cui sono stati vissuti. Lo studio del funzionamento delle cellule griglia, iniziato da O'Keefe già negli anni '70, è stato cruciale per la comprensione del nostro rapporto con lo spazio.

Queste cellule fanno parte di un sistema complesso, diffuso in tutti i mammiferi, che connette vaste aree della corteccia, specie del lobo parietale destro, a quelle a ridosso dell'ippocampo. Gli studi dei tre premiati sono stati fondamentali nella comprensione dell'anatomia, dello sviluppo. del funzionamento ed anche di disturbi dei meccanismi della percezione dello spazio e dell'orientamento. La morte dei neuroni nella malattia di Alzheimer colpisce prevalentemente e precocemente l'ippocampo: non è raro che uno dei primi disturbi della malattia, oltre la debolezza della memoria, sia il disorientamento spaziale, che talora insorge all'improv-viso. Le scoperte dei tre premi Nobel confermano che lo spazio tridimensionale è una categoria dei meccanismi del cervello e non la realtà del mondo esterno. I nati ciechi ne hanno, infatti, una concezione non diversa da quella dei vedenti,e per questo si muovono con relativa sicurezza. A conferma
di quanto sostenuto da Immanuel Kant che “Lo spazio è una necessaria rappresentazione a priori, che sta alla base di tutte le intuizioni esterne.” Un'intuizione filosofica pienamente confermata dalla scienza.

ajb@bluewin.ch

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