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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2014 alle ore 06:44.
L'ultima modifica è del 07 ottobre 2014 alle ore 06:54.
Nonostante le crescenti adesioni europee alla campagna aerea guidata dagli Usa contro lo Stato islamico, appare evidente il flop della coalizione che in due mesi non ha conseguito risultati di rilievo. Nell'Iraq settentrionale i raid hanno alleggerito la pressione sul Kurdistan consentendo di riconquistare alcuni villaggi ma negli altri settori le truppe del Califfato avanzano. Nell'ovest iracheno, nonostante l'intervento degli elicotteri americani Apache, l'Is continua a sbaragliare le incerte truppe regolari e ha raggiunto i sobborghi di Baghdad; nel nord della Siria i miliziani sono entrati nella roccaforte curda di Kobane. Come previsto dal Sole e da alcuni analisti militari, la campagna aerea rischia di risultare irrilevante senza truppe sul terreno. Lo ha ribadito ieri Sir David Richards, ex capo di stato maggiore britannico, che ha definito «senza senso» la scelta di chi ha inviato i Tornado in Iraq senza prevedere una «complementare» strategia di terra. I miliziani del Califfo sono abili a occultare nei centri abitati mezzi e reparti raggruppati per gli attacchi lasciando forze esposte in campo aperto solo per breve tempo. I caccia non trovano molti bersagli come dimostrano le poco più di 300 incursioni dall'8 agosto. La coalizione sembra pagare la carenza di informazioni, la cui raccolta è affidata per lo più alle ricognizioni di droni e satelliti che secondo indiscrezioni hanno spesso diretto le bombe su obiettivi abbandonati dal nemico. Scarsa la rete di informatori sul terreno. Un gap paradossale se si considera che la Cia schiera da anni un gran numero di personale a Baghdad ed Erbil e in Siria è attiva da tre anni al fianco degli insorti. (Gianandrea Gaiani)
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