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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2014 alle ore 09:12.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2014 alle ore 11:12.

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La crescita che stenta a ripartire passa anche per un moderato imbarazzo, quello delle previsioni sbagliate. Manco a dirlo, per eccesso. Non è successo di rado, negli ultimi anni di consuntivi sempre peggiori dei preventivi, che alle stime seguissero commenti ironici sul genere «certo, oggi dicono così, a metà anno sarà già un'altra cosa». Al Fondo monetario internazionale qualche domanda se la sono fatta e la risposta è arrivata con un articolo ad hoc, pubblicato nel World Economic Outlook d'autunno e intitolato “Le ragioni delle revisioni delle stime di crescita del Fmi dal 2011”.

«Errori seriali»
Dopo la grande crisi finanziaria esplosa con il collasso di Lehman Brothers (15 settembre 2008) la crescita globale ha subito un rallentamento costante: tra il 2010 e il 2013 si è passati dal 5,4% al 3,3%. Un ruolo importante, certo, lo ha giocato una frenata dell'Eurozona andata oltre l’immaginabile. Basta questo a spiegare «errori seriali», come li definisce lo stesso istituto di cui è stimato capo economista Olivier Blanchard? Forse no. Del resto, i profani potrebbero chiedere: a che servono le previsioni se non ci prendono mai?

Attenti a quei due: Brics ed Eurozona
«Troppo ottimismo, mediamente», riconosce il Fmi (Guarda i grafici interattivi). Tra il 2011 e il 2014 circa uno 0,6% in più. E il dato dell'errore va raddoppiato se si tratta di Paesi emergenti. Soprattutto le stime sono state sbagliate per i BRICs (Brasile, Russia, India e Cina), il cui peso è il 28% del Pil mondiale a parità di potere d'acquisto (PPP) mentre nelle previsioni contano per circa la metà dell'errore. Altre economie in difficoltà, in Medio Oriente, contano per il 20% dell'errore. Si è sbagliato di più anche nelle previsioni sull’Eurozona e sul Giappone, nel periodo 2011-2012: colpa dei Piigs, Italia compresa, che hanno fatto parecchio peggio di quel che si pensasse (domanda banale: l'austerity c'entra qualcosa?) e del terremoto (con tsunami) che ha colpito Fukushima. Anche eventi imprevedibili e crisi geopolitiche, quindi. Come la crisi tra Russia e Ucraina, che ha finito per pesare sulle performance dei partner commerciali e dei vicini, come la Polonia.

Il peso degli investimenti
Non sono però queste le uniche ragioni. Nel periodo 2011-2013, per dire, il Fmi ha sovrastimato il peso degli investimenti (che non sono arrivati nella misura prevista) e delle esportazioni (anche in America Latina e nell'Africa subsahariana), si legge nel documento. Sui consumi, invece, le previsioni sono state in buona parte corrette. Da notare che per le esportazioni nette dei Paesi dell'Eurozona c'era stato invece un eccesso di pessimismo. Al contrario, per quelle della Cina c'era stato un eccesso di ottimismo. Gli sbagli hanno riguardato molto poco gli Stati Uniti. Ma «la tendenza generale - ammette il Fmi - è stata a una ripetuta previsione per eccesso, pur relativamente piccola».

Alcune attenuanti
«Il fatto che siano stati gli investimenti, la componente della domanda aggregata più sensibile alle aspettative, ad avere avuto il peso più importante negli errori - commenta Fausto Panunzi, professore ordinario di Economia politica all'università Bocconi - sembra suggerire che le aspettative dei ricercatori del Fmi e quelle degli imprenditori siano state piuttosto divergenti in quegli anni. Insomma, se in alcuni casi c'erano ragioni plausibili per sbagliare, il fatto che gran parte degli errori origini da un eccesso di ottimismo ha giustamente portato il Fondo monetario a una correzione di rotta. Per non essere troppo ingiusti, però, bisogna chiarire che è più facile indovinare in momenti in cui l'economia mondiale è stabile che in questi anni di grandi turbolenze».

Il senso delle stime
Assoluzione, quindi? «Più che altro, hanno senso stime fatte così? Perché non si capisce bene se sia maggiore la responsabilità dei modelli usati o se ci sia una difficoltà oggettiva a centrare le previsioni in ragione della mutevolezza dei piani di investimento e soprattutto dei numeri che i governi decidono di dare e come».

La validità dei modelli
Già, la mutevolezza del reale. Chi avrebbe potuto prevedere, per esempio, una svolta tanto negativa nelle relazioni tra economie occidentali e Russia? O la dissoluzione della Libia? «Un punto da analizzare è certamente la validità o meno dei modelli econometrici adottati dal Fmi - obietta Beniamino Piccone, professore di Sistema finanziario all'Università Carlo Cattaneo-LIUC di Castellanza -. Si deve premettere che l'approccio alle previsioni consiste nella costruzione di modelli statistici per rappresentare situazioni future attraverso l'uso di dati relativi al passato, spesso provvisori e passibili più volte di modifica».

Economia o astrologia?
«Ricordo che lo scorso agosto sul Financial Times Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del comitato esecutivo della Bce, aveva proprio evidenziato la necessità, per l'Italia, di rivedere i modelli econometrici, visto la fallacia previsiva degli ultimi anni. Comunque io difendo chi le previsioni le fa, dato che sbaglia solo chi non ci prova». Anche se, e qui Piccone cita Galbraith, declinando l'arte della divinazione in economia, «l'unica funzione delle previsioni è quella di far sembrare rispettabile l'astrologia».

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