Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2014 alle ore 07:10.
L'ultima modifica è del 14 ottobre 2014 alle ore 08:29.
«Qui c'è il seme della nostra rinascita». Loredana De Luca, direttore di Perugia-Assisi 2019, sfoglia il dossier di candidatura e si ferma di fronte la fotografia di una studentessa nordafricana che mette a dimora una piccola piantina su un gradino di un quartiere periferico di Perugia. La convivenza con gli stranieri, i gradini e la semina (il tema del dossier perugino si chiama "Seminare il cambiamento") sono le metafore di una competizione che ha risvegliato Perugia e l'intera Umbria. De Luca, prima di questo incarico capo della struttura tecnica dell'assessorato alla Cultura del Comune, quasi si commuove: «Il nostro dossier è emozionante: c'è la semina, ci sono le fasi lunari, c'è la spiritualità della natura e San Francesco».
Difficile sfuggire alle suggestioni di questa terra, una storia lastricata di guerrieri, santi e un esercito di artisti rinascimentali. In molti rammentano che 700 anni fa Perugia e Assisi erano perennemente in guerra tra loro e lo stesso Francesco fu recluso nelle prigioni perugine. «Oggi celebriamo su quegli stessi campi di battaglia dove i due eserciti si fronteggiavano (che coincidono con il perimetro dell'aeroporto di Perugia, ndr) l'unione di tutta una comunità», racconta Claudio Ricci, il sindaco cattolico di Assisi cui tutti riconoscono di aver intuito prima di altri le potenzialità legate alla candidatura.
Parte Ricci, lo affianca il sindaco di Perugia e suo amico personale, Wladimiro Boccali, poi sconfitto alle elezioni di maggio, e via via seguono 200 tra paesi, città, università e decine di associazioni che volontariamente aderiscono alla fondazione (sarebbe obbligatoria solo per la città che si aggiudicherà il titolo) di cui i soci fondatori sono i due Comuni in corsa per il titolo e la Regione. Un gioco al rialzo che ha contagiato pure la politica umbra, un maso chiuso in cui i soliti noti fanno e disfano a loro piacimento. Stavolta la posta è troppo alta, e i tre soci fondatori cooptano alla presidenza della fondazione Bruno Bracalente, ordinario di Statistica all'università ma soprattutto presidente della giunta regionale umbra negli anni 90, ai tempi dei professori, quando la politica, colpita dall'inchiesta di Tangentopoli, lasciò campo libero a esponenti della società civile. Durò solo un mandato la giunta Bracalente, senza mai essere scalfita da alcuna indagine, ma il Pds, complice il terremoto del 1997, pensò bene di non ricandidarlo e di sostituirlo con Maria Rita Lorenzetti, detta la Zarina, fedelissima alla nomenclatura. Il professore perugino, insieme a Luca Ferroli, nel 2008 ha dato alle stampe un volume sull'impatto economico degli eventi culturali. Racconta Bracalente: «Abbiamo calcolato che ogni euro pubblico investito in eventi cultuali genera ritorni di 3,5 euro per Umbria Jazz e sette per la mostra del Pinturicchio». Un moltiplicatore di quattrini, propagazione culturale e sviluppo turistico, con tassi di rendimento che nessuna speculazione finanziaria è in grado di assicurare.
Bracalente si spinge più in là: «La candidatura a capitale europea è la più capillare mobilitazione di capitale sociale nella storia di questa regione».
Oltre a seminare il cambiamento, si seminano cantieri culturali e cantieri di trasformazione urbana. Nei primi è immerso Arnaldo Colasanti, scrittore, critico letterario e direttore artistico di Perugia 2019. Il filo rosso di Colasanti è "dal negativo al positivo". Cita San Francesco. Che declina in termini mistici lo stesso concetto: dalla dissolutezza alla santità. Il ritorno ad Assisi è costante. Le pietre sante della città umbra fanno da contraltare al laboratorio civile e laico di Perugia. Un laboratorio che si svuota e frammenta, con il centro storico passato in pochi anni da 25mila a meno 10mila residenti. Colasanti non usa mezzi termini: «Perugia è una città in declino, vittima e insieme stereotipo dei nuovi drammi sociali».
Se la diagnosi è azzeccata, la terapia non può essere quella di smantellare le parole chiave attorno alle quali le città umbre hanno costruito la loro storia. Esempio: abbattere, ma solo metaforicamente, le mura e le barriere difensive visibili e invisibili; riconsiderare le scale di Perugia non un ostacolo ma come un'occasione per scalare valori come l'uguaglianza di genere e i diritti civili. Sono temi complessi, così come complesso è risvegliare una città che con il delitto di Meredith Kercher ha subito un duro colpo alla sua immagine di campus universitario rinascimentale a misura di studente.
Da Perugia ad Assisi il passo è breve. La città di Francesco è a suo modo quello che fu Firenze ai tempi di Giorgio La Pira, il sindaco santo che irradiò messaggi di pace in tutto il pianeta. Di Perugia era Aldo Capitini, il filosofo gandhiano che si inventò la marcia della pace. Il sindaco Ricci aspirante governatore dell'Umbria (si vota nel 2015), non ha dubbi: «Ad Assisi ci s'incontra per camminare insieme». Un messaggio che potrebbe mettere d'accordo tutte le città candidate a capitale europea della cultura.
Permalink
Ultimi di sezione
-
Italia
Agenzia delle Entrate sotto scacco, rischio «default fiscale»
-
L'ANALISI / EUROPA
L'Unione non deve essere solo un contenitore ma soggetto politico
Montesquieu
-
NO A GREXIT
L’Europa eviti il suicidio collettivo
-
Il ministro dell'Economia
Padoan: lavoreremo alla ripresa del dialogo, conta l’economia reale
-
LO SCENARIO
Subito un prestito ponte
-
gli economisti
Sachs: la mia soluzione per la Grecia