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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2014 alle ore 06:45.
L'ultima modifica è del 16 ottobre 2014 alle ore 07:41.

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L'Ebola è l'emergenza sanitaria più grave e seria dei tempi moderni, avvertiva qualche tempo fa l'Organizzazione mondiale della Sanità Oms). È una tragedia annunciata e ora le istituzioni sanitarie internazionali rischiano di essere travolte dalla pandemia.
Pandemia che finora ha registrato "soltanto" 9mila casi e 4.500 morti ma il contagio potrebbe salire a livelli esponenziali: a inizio dicembre i casi, secondo l'Oms, potrebbero diventare 10mila alla settimana nei Paesi più colpiti, Guinea, Sierra Leone, Liberia. Ultima tra le epidemie recenti, come l'Aids (36 milioni di morti) e la Sars (mille), Ebola si candida a sconvolgere un continente, l'Africa, ma anche il resto del mondo. La crescita esponenziale del virus può essere rallentata e fermata, il problema è: quando? Serve un vaccino: il gigante farmaceutico britannico GlaxoSmithKline ne sta sviluppando uno ma è ancora alla fase iniziale di sperimentazione.

L'impatto politico di Ebola è già serio negli Stati africani colpiti. Liberia e Sierra Leone sono agli ultimi posti dello sviluppo, piagati dalla povertà e anche da guerre decennali: avevano appena cominciato a risollevarsi e ora l'Ebola li affonda di nuovo. Ma se il virus dovesse propagarsi anche in Nigeria, che pure è un ricco Paese petrolifero e meglio attrezzato dal punto di vista sanitario, gli effetti sarebbero imprevedibili: la Nigeria è gigante dell'Africa con 160 milioni di abitanti ed è pure la prima economia del continente.
La politica del mondo occidentale si è mossa tardi e ora lo fa in maniera quasi concitata, al punto che ieri il presidente Obama ha abbandonato improvvisamente gli impegni di campagna elettorale per una riunione di emergenza alla Casa Bianca e sull'epidemia ha avuto una conference call con i leader di Italia, Gran Bretagna, Francia e Germania. Persino l'argomento Califfato passa in secondo piano - con alleati così riluttanti a combatterlo Obama è a corto di idee - e vengono rinviate le discussioni sui bilanci: brutto segno perché Borse e mercati sono ultrasensibili.

Si svegliano tardi i nostri leader e forse ci voleva la morte del paziente liberiano Thomas Duncan a Dallas per alzare l'allarme che è diventato rosso quando è rimasta contagiata anche l'infermiera che lo curava. Il caso Duncan ha rivelato una falla nei controlli in uscita dall'Africa occidentale. Duncan non aveva la febbre, il virus era in incubazione ma aveva omesso di dire che aveva avuto contatti con una persona infetta.
E così quella che sembrava un'epidemia letale ma apparentemente sotto controllo è diventata anche in Occidente una pandemia che potrebbe già trasformarsi in psicosi.
Si parla di blocco dei confini, si fa strada l'idea di chiudere completamente le frontiere aeree tra l'Africa occidentale e il resto del mondo. Ma il blocco verrebbe aggirato, lo ammette anche il direttore del Centro americano per il controllo delle epidemie e la prevenzione. Inoltre sarebbero congelati gli aiuti, nelle zone più colpite diventerebbe più difficile combattere la malattia e arrestare il contagio. Sigillare l'Africa occidentale renderebbe paradossalmente la situazione ancora peggiore.

Senza contare che bloccare i traffici con Liberia, Guinea e Sierra Leone avrebbe conseguenze devastanti per le economie di questi Paesi e li renderebbe un "buco nero" sulla carta geografica. Secondo la Banca mondiale Ebola potrebbe costare a questi Paesi, nel caso peggiore, una cifra superiore ai 30 miliardi di dollari.
Il modo migliore per proteggere l'Occidente è proteggere gli abitanti dell'Africa occidentale, senza cedere alla tentazione di abbandonarli al loro destino. Non sarebbe morale e probabilmente neppure utile. Di questo discutono i leader mondiali che dovranno comunque prendere provvedimenti seri, e forse dolorosi, dal punto di vista medico e della sicurezza. Il problema è che l'Ebola, come altre emergenze di questo tipo, è stata considerata finora soprattutto come un caso sanitario e non politico e istituzionale. Non c'è stata una visione globale dell'epidemia come avrebbe dovuto suggerire il passato e in particolare l'esperienza di tre decenni di lotta all'Aids.

Questi nuovi virus hanno la loro origine nel degrado degli ecosistemi e affiorano quando sono sollecitati dalle pressioni esterne: c'erano già prima, erano dormienti e mentre l'uomo avanzava abbattendo foreste e sfruttando a piene mani suolo e sottosuolo, invece di scomparire sono mutati rapidamente e hanno cambiano habitat. Il virus dell'Aids passò per la prima volta da un animale, uno scimpanzè, a un essere umano (un cacciatore) in Camerun a fine Ottocento. Ma fu soltanto quando si cominciarono scavare le miniere del Katanga, a costruire ferrovie e strade che cominciò a viaggiare. I virus ignorano le frontiere e varcano i confini a nostra insaputa. È accaduto per l'Aids può accadere ovviamente anche per Ebola.
Ma la bomba-Ebola non è una tragica fatalità: è parte della vita contemporanea, dell'umanizzazione spinta della terra e dell'ambiente. Alla politica si chiede di rispondere all'emergenza ma anche di definire strategie di prevenzione per combattere i nuovi virus e magari anche la ricomparsa di antichi mali. Tra questi ultimi l'indifferenza per la sorte degli altri esseri umani è il peggiore e il più radicato.

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