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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2014 alle ore 09:10.
L'ultima modifica è del 18 ottobre 2014 alle ore 10:33.

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Il voto è previsto questa sera. È non è del tutto scontato, come avvenuto sempre in passato in circostanze analoghe. Ma la Chiesa di Papa Francesco - è sotto gli occhi di tutti - sta cambiando rapidamente i parametri di riferimento fino a oggi noti e accettati come immutabili. Tra molti entusiasmi ma anche molti malumori, come emerso con insolita chiarezza negli ultimi mesi. Stasera si conclude il Sinodo straordinario sulla famiglia con una Relatio Synodi, che sarà il frutto di un enorme lavoro preparatorio e di approfondimenti accurati, ma anche di confronti serrati sulla pastorale e dispute teologiche tra cardinali e arcivescovi più aperti verso una nuova disciplina verso i divorziati risposati e gli omosessuali, comprese le coppie gay. Anche se probabilmente la Relatio post disceptationem - il documento intermedio di lavoro presentato lunedì scorso dal cardinale relatore Peter Erdo e l'arcivescovo e segretario speciale Bruno Forte - sarà modificata in alcuni punti considerati non accettabili dall'ala tradizionalista per le aperture considerate eccessive, specie sugli omosessuali, di certo la relazione finale conterrà dei passaggi senza precedenti nella storia della Chiesa, che saranno discussi nel loro complesso tra un anno, nel Sinodo ordinario.

A decidere alla fine sarà sempre il Papa, ma quando questo avverrà sarà dopo una consultazione e un dibattito degno di un vero Concilio. «Ovviamente il magistero della Chiesa si può cambiare», ad esempio su un tema come quello della comunione ai divorziati risposati, ha affermato il cardinale di Monaco Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesco, un porporato progressista che fa parte del C-9, il consiglio ristretto che consiglia il Papa sul governo della Chiesa. «Della comunione ai divorziati risposati, noi vescovi tedeschi abbiamo parlato in modo approfondito e una schiacciante maggioranza ha approvato il nostro documento che riprende la relazione del cardinale Walter Kasper al Concistoro dello scorso febbraio», ha detto, confermando la strada che si deve studiare la riammissione dei divorziati alla comunione attraverso un percorso penitenziale. «Come vescovi - ha spiegato - non possiamo selezionare i nostri fedeli e i fedeli questo ci chiedono. Dopo le accuse di pedofilia e abusi del 2010 abbiamo tentato di avviare un dialogo chiedendo loro: dove cambiare? Come diventare più credibili?». Insomma, quello dei divorziati risposati sempre essere un dato ormai dato per acquisito, anche da buona parte dell'ala conservatrice.

«Il magistero della Chiesa non è una raccolta statica di frasi ma si sviluppa. La dottrina non cambia ma viene capita e recepita in modi diversi». Il tema più delicato quindi è quello relativo ai gay, verso i quali la relazione di lunedì ha parlato di accoglienza (oltre che di attenzione verso forme di riconoscimento giuridico delle coppie). «Non possiamo dire agli omosessuali che non possono sperimentare il Vangelo»: è necessario «l'accompagnamento spirituale per tutti, e, ad esempio, se c'è una relazione omosessuale, fedele per trent'anni, non posso dire che non è niente, e sebbene non sia tutto a posto e lo scopo sia per la Chiesa il matrimonio sacramentale tra uomo e donna, non si può dire che è tutto nero o bianco, tutto o niente, e questo è anche il compito della pastorale». Insomma, «l'esclusione non è la lingua della Chiesa», non è possibile dire a certe persone «tu sei un cristiano di seconda classe».

Oggi, prima della votazione sul documento conclusivo sarà pubblicato il Messaggio del Sinodo, che conterrà le linee guida discusse e approvate, ma non entrerà nello specifico delle questioni. Quelle saranno contenute nella Relatio Synodi, il cui testo integrale probabilmente sarà divulgato la prossima settimana. Per il voto dei 191 padri sinodali c'è pronto un meccanismo elettronico, come avviene nei parlamenti, i quali tuttavia hanno piena potestà legislativa, mentre dentro le mura vaticane, da sempre, vige un altro regime: l'ultima parola spetta sempre al Papa.

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