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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2014 alle ore 09:14.
L'ultima modifica è del 18 ottobre 2014 alle ore 10:31.

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Non pochi milanesi se lo ricorderanno ancora come arcivescovo, ma per i più, in Italia e nel mondo, l'esile figura di Paolo VI resta impressa indelebilmente nella memoria come il Papa del Concilio. Domani a Roma, in Piazza San Pietro, Giovanni Battista Montini sarà solennemente proclamato beato.

"Beato": un termine fuori moda, ingiustamente privato del suo significato più immediato, originario, sinonimo di "felice". Per i cristiani i beati e futuri santi sono, prima ancora che modelli da imitare, persone riuscite in cui il desiderio di bene e di compimento che abita il cuore di ogni uomo e di ogni donna brilla in tutto il suo fulgore. Perciò i santi parlano a tutti, non solo ai cristiani. Alcuni per la loro sterminata carità, altri per la loro genialità educativa, ciascuno per quel particolare accento con cui la sequela di Cristo ne ha plasmato e fatto fiorire la fisionomia umana.

Così di fronte all'evento che si celebrerà domani a Roma - accade, appunto - non possiamo non domandarci che cosa il nuovo beato, Paolo VI, dice a noi, uomini e donne di questo inizio del Terzo Millennio immerso in un travaglio del tutto inimmaginabile prima. Anzitutto è a tutti noto il profondo interesse di Montini per l'uomo e per la sua esperienza reale. Il Papa del dialogo, emblematicamente identificato con l'enciclica Ecclesiam Suam, è soprattutto l'uomo e il pastore attento al proprio interlocutore. Uno che è consapevole di dover sempre "imparare" l'altro, perché l'altro, vivendo il presente da protagonista, non solo è in continuo movimento (in termini cristiani e più pregnanti si chiama conversione), ma è ultimamente inafferrabile. Dagli anni del lavoro romano come assistente della Fuci, a quelli dell'episcopato milanese fino agli anni intensi e drammatici del pontificato, Montini fu sempre ben consapevole della necessità di rivolgersi all'uomo concreto, anticipando profeticamente quello che sarà un caposaldo dell'insegnamento del suo successore san Giovanni Paolo II: «L'uomo, nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario … è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso» (Redemptor hominis 14).

Montini parlava dell'umanesimo della vita moderna avvertendo con lucida consapevolezza il cambiamento in atto nella società milanese. L'allora ancor fortemente strutturato cristianesimo di popolo della diocesi ambrosiana (3700 preti, 14.600 suore, 200.000 iscritti all'Azione Cattolica; 50.00 alle Acli) doveva fare «insieme questo grande esperimento di chiamare il mondo moderno ad una forma moderna di vita cristiana» (1959).

È un'urgenza che si ripresenta a ogni tappa della storia: il cristianesimo non può essere proposto se non in quanto "cristianesimo nella storia". Come il cristianesimo di sempre - quello di Pietro e Paolo, di Ambrogio, di Carlo... - presente come esperienza vitale sensibilmente documentata e perciò incontrabile. Non esiste, infatti, forma moderna di vita cristiana al di fuori del vissuto della comunità cristiana qui ed ora. Questo spiega bene perché l'azione di un Papa di fine cultura come Paolo VI fosse costantemente tesa alla rigenerazione del popolo cristiano. Il protagonista di una "forma moderna di vita cristiana", infatti, non può che essere il popolo di Dio, nella pluriformità di vocazioni, stati di vita e compiti, nel qui ed ora della storia. Il 1 giugno 1961 a Viboldone, incontrando più di settecento studenti impegnati in opere caritative nelle allora periferie della "Bassa" milanese, l'arcivescovo li invita con decisione a far rivivere il cattolicesimo della nostra terra, perché esso cessi di essere soltanto un ricordo del passato, o un'ipocrisia del presente, o un'aridità per l'avvenire.

Parole forti e di una certa durezza. Ma parole che indicano allora come oggi la strada, e non solo ai giovani: trasformare l'odierno cattolicesimo di popolo in una risorsa per il futuro. E questo mediante un confronto a tutto campo con tutti i soggetti che abitano la metropoli plurale: un nuovo umanesimo per una vita buona.
Come amava dire Paolo VI nel travaglio del passaggio di epoca, non senza dolori ed ansie, la civiltà dell'amore avrà la meglio.

Il cardinale Angelo Scola è arcivescovo di Milano

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