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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2014 alle ore 07:40.
L'ultima modifica è del 20 ottobre 2014 alle ore 07:48.

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La colpa non è solo della recente crisi. Il calo dei redditi da lavoro, l'incremento delle rendite e l'aumento delle diseguaglianze salariali sono fenomeni che – nelle economie occidentali – risalgono ai primi anni Ottanta (vedi grafico), quando l'innovazione tecnologica ha iniziato a sostituire la manodopera industriale e a premiare i lavoratori più qualificati.

Un insieme di trend che, secondo Standard Life Investments, casa d'investimento che fa capo al gruppo assicurativo scozzese, «hanno rappresentato un vantaggio per le imprese: oggi la quota dei profitti sul Pil è ai massimi da decenni, fatto che ha contribuito ad aumentare il prezzo delle azioni (assieme all'inondazione di liquidità favorita dalle Banche centrali da 2007 in poi, ndr) e la ricchezza di coloro che vi hanno investito».
Anche se la percentuale dei redditi da lavoro dovesse scendere ancora, per qualche tempo le imprese potrebbero godere di una crescita degli utili. Però nel medio-lungo periodo, se la crescita economica dovesse latitare ancora, i guadagni delle imprese potrebbero stringersi con ripercussioni sui prezzi borsistici.

La questione, quindi, è capire come rilanciare la crescita, aumentare la quota dei redditi da lavoro e, in ultima analisi, sostenere le quotazioni borsistiche. I fattori chiave che negli ultimi decenni hanno visto scendere il peso degli stipendi sui redditi nazionali nei Paesi occidentali sono stati la globalizzazione, le innovazioni tecnologiche, la politica fiscale sempre più restrittiva e il minore potere contrattuale dei lavoratori.
«Le implicazioni di tutto ciò sui mercati finanziari – sottolinea Jeremy Lawson, chief economist di Standard Life Investments – dipendono non solo dall'evoluzione del ciclo economico, ma anche dall'azione dei Governi. Il recupero in atto in molte nazioni potrà generare un modesto aumento del reddito da lavoro e un calo della disoccupazione, ma sarà improbabile compensare le perdite degli ultimi decenni».

Per questo, sottolineano gli analisti di Standard Life, se le forze del mercato da sole non saranno sufficienti a favorire una crescita del potere d'acquisto, aumenterà la pressione sui Governi per un'azione fortemente redistributiva. Per esempio, agendo sul credito d'imposta sugli utili piuttosto che sulle compensazioni fiscali o sugli incentivi alle imprese per favorire l'occupazione.
Già, ma la creazione di ricchezza? Dopotutto questa è, più che la redistribuzione, l'unica garanzia per un'espansione sana. «Vero – conferma Giorgio Arfaras, direttore della "Lettera economica" del Centro Einaudi –, ma oggi c'è un aumento degli anziani e una disoccupazione crescente. Due fattori non da poco. Gli anziani sono sempre di più, costano allo Stato sociale e hanno un reddito pensionistico spesso insufficiente. Nei decenni scorsi, poi, chi era espulso dell'industria per via dell'innovazione tecnologica poteva comunque essere riassorbito dal settore dei servizi. Adesso però l'automazione arriva anche nel terziario: solo negli Stati Uniti si calcola che circa 3 milioni di posti amministrativi a basso valore aggiunto sono stati sostituiti dalle macchine, e la disoccupazione cresce. Quindi servirebbe un formidabile aumento della produttività per sostenere i redditi della terza età e dei disoccupati. E questa mi sembra una scelta obbligata per tenere in piedi il contratto sociale fra giovani e anziani».

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