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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2014 alle ore 07:07.
L'ultima modifica è del 21 ottobre 2014 alle ore 08:21.

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Nel meccano della politica monetaria e nella politica economica comunitaria c'è un ingranaggio che provoca discussioni e dissidi. Per alcuni - di stretta matrice rigorista - è l'indispensabile architrave di una costruzione solida. Per altri - più propensi a cercare soluzioni impostate sulla crescita - la sua presenza è un nonsense logico che rischia di fare crollare all'improvviso ogni impalcatura.

Tutti sono, però, d'accordo: è uno dei perni, che si vedono poco e di cui non si parla poi così tanto, dell'intera concezione monetaria e economica - fiscale e di bilancio - dell'Unione europea.
La ragione del contendere si chiama Nawru, acronimo del "non accelerating wage rate of unemployment". È un indicatore economico. Ma è tutt'altro che un oggetto da convegno. Dalla sua interpretazione e dal suo utilizzo dipendono le policy europee. In particolare a Bruxelles, dove opera la Commissione. A Francoforte, dove regna la Banca centrale europea, in qualche maniera se ne subiscono piuttosto gli effetti. E anche nelle capitali europee si affrontano le conseguenze sulle dinamiche endogene (in termini di bilanci pubblici e di assestamenti semiautomatici dei conti). Il Nawru è il tasso di disoccupazione di equilibrio, tale da non generare pressioni inflazionistiche. Ha un ruolo centrale nella determinazione delle indicazioni - cogenti - della Commissione ai singoli Paesi membri dell'Unione europea. Osserva Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche: «Dal punto di vista culturale, è interessante notare come il tasso di disoccupazione di equilibrio sia la leva che viene adoperata per garantire l'iper-contenimento dell'inflazione. In molti, in passato, hanno considerato l'Unione europea un moloch impregnato di keynesismo. In realtà, anche in questo caso prevale l'egemonia del monetarismo francofortese, che mette davanti a tutto e a tutti l'imbrigliamento dell'inflazione».

Il Cer ha per primo in Italia, all'inizio di quest'anno, evidenziato le potenziali contraddizioni dei meccanismi automatici incentrati sul Nawru: «La Commissione - spiega il capoeconomista del Cer, Stefano Fantacone - formula una ipotesi per ogni Paese: per non avere inflazione, bisogna che il tasso di disoccupazione sia a un certo livello. E fa una stima di quale sia questo livello. Il problema è quello che concretamente capita in uno scenario dissestato come quello europeo. Con una disoccupazione crescente e difficile da controllare, che fa sì che ogni anno il filtro statistico del Nawru postulato dalla Commissione tenda anch'esso ad aumentare sempre più, quasi inseguendo il tasso di disoccupazione reale».
Tutto ciò non resta nei dossier della Commissione o nei paper degli accademici suoi collaboratori. Ma va a incidere nella carne viva degli organismi economici e sociali dei singoli Stati. Quanto più è minore la forbice fra il tasso reale di disoccupazione e il Nawru, tanto è minore l'output gap, ossia la differenza fra il Pil stimato e il Pil reale. A quel punto, dato che - nelle regole scritte e non scritte dell'Unione europea - si dà per scontato che la politica economica espansiva abbia ragion di essere solo con un significativo output gap, ecco che tutto questo si riflette sulle politiche di bilancio.

Le regole europee consentono infatti di avere un indebitamento di natura ciclica, ma esclusivamente collegato all'output gap. Non permettono, invece, di avere un indebitamento strutturale. A parità di indebitamento nominale, più basso è l'output gap, più basso è l'indebitamento ciclico e dunque più alto è l'indebitamento strutturale che il Paese deve correggere. «Il problema - osserva Petya Garalova, ricercatrice del Cer - è che le due uniche cose sicure che si possono osservare sono il Pil reale e l'indebitamento nominale. Invece, i tipi di indebitamento, strutturale o ciclico, sono stimati con un modello statistico. E, per calcolarli, viene usato il Nawru. Il quale, a sua volta, non è un valore fisso, ma muta continuamente nel tempo». Dunque in questa costruzione puramente astratta, l'erraticità del Nawru e la propensione della Commissione a fissarlo sempre più in alto - mentre nella realtà anche il tasso di disoccupazione esplode - produce l'obbligo - per Paesi che già sono in crisi - non soltanto di evitare politiche espansive, ma di promuovere politiche restrittive. «In questa concettualizzazione regolatoria e giuridica - osserva Fantacone - risiede quella meccanicità che dà forza operativa e giustificazione teorica ai fautori di un rigore severo e che nulla ascolta. E, non a caso, è un meccanicismo basato su uno strumento predittivo, il Nawru, che ha la sua ragione d'essere nel controllo dell'inflazione».

Inflazione - e questo è l'altro elemento paradossale - che in questo momento non esiste. Dato che, appunto, semmai l'Europa in generale - e l'Italia in particolare - ha ormai un problema grosso come una casa di deflazione. In questo specifico ganglio della fisiologia comunitaria - per come si è venuta a costituire sotto la matrice culturale tedesca - c'è poi un altro elemento che non va sottovalutato. «La dialettica nemmeno troppo latente fra il governatore della Bce Mario Draghi e la cancelliera Angela Merkel - riflette Giacché - si esprime anche nel diverso giudizio su questo automatismo. Quando Draghi dice che non esiste soltanto la politica monetaria nella scatola degli attrezzi per curare le patologie recessive, ma ci sono anche le politiche economiche espansive, mette proprio in luce come queste ultime in Europa siano anestetizzate e paralizzate. Anche per questo tutti quanti - chi più chi meno, non solo l'Italia ma in prospettiva anche la Germania - ci troviamo in un vicolo cieco».

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