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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2014 alle ore 07:50.
L'ultima modifica è del 22 ottobre 2014 alle ore 08:21.

Per l'Iran e il Medio Oriente Christophe de Margerie è stato una sorta di Mattei alla francese. Una sorta di «Mattei alla francese», forse ancora più spericolato e cinico. Certo l'ardimento del grande capo dell'Eni è stato ineguagliabile, soprattutto quando in un'epoca di guerra fredda lanciò il guanto di sfida alla Sette Sorelle, ma i due uomini si somigliavano per capacità decisionale e coraggio. E sono stati accomunati persino nel misterioso finale della loro vita.

La morte del presidente della Total ricorda quella controversa di Mattei che morì in un incidente aereo nell'ottobre del 1962, quando il suo velivolo precipitò a pochi chilometri da Linate. Le cause dell'incidente sono state indagate per decenni: secondo alcune tesi Mattei sarebbe stato ucciso in un attentato perché avrebbe leso gli interessi di altre compagnie stipulando accordi concorrenziali con i Paesi produttori, in un'altra versione la magistratuta ha avanzato l'ipotesi di un delitto politico di matrice mafiosa.

Troppo presto per affermare se dietro la morte di de Margerie sulla pista di Vnkovo ci sia un complotto o sia stata, come sembra, soltanto una fatalità, troppo tempo è passato dalla fine di Mattei per essere del tutto certi che sia stato ucciso in un attentato. Avevano un tratto in comune e assai affascinante: pensare in grande e non essere allineati al sistema, pur conoscendolo perfettamente fino a piegarlo con freddezza ai loro obiettivi, senza esitare nello sporcarsi le mani. Gli “uomini del crudo”, così amano chiamarsi tra loro i petrolieri, sanno da dove derivano la ricchezza e la fortuna delle compagnie: da un barile nero di petrolio che insieme ai listini dei mercati può mutare le sorti dei leader e di intere nazioni. De Margerie, come Mattei, era un uomo di potere ma anche un abile sovvertitore delle regole. Ostinato, iperattivo e con grande senso dell'umorismo, “Big Moustache” come veniva soprannominato per i suoi folti baffi, ha rivoluzionato il gruppo Total succedendo a Desmarest, un dirigente che si era contraddistinto per freddezza e scarsa comunicazione.

Ancora prima di guidare il gruppo, de Margerie era entrato in Medio Oriente da protagonista, anche fin troppo come diranno successivamente le accuse di corruzione. Da direttore generale della Total per il Medio Oriente, nel 1995 fu lui a spingere per la firma del primo contratto con l'Iran, aggirando l'embargo americano del Libya-Iran Act: fu una sfida lanciata agli Stati Uniti che avrebbero voluto mantenere l'isolamento della Repubblica islamica.

Con i vertici iraniani de Margerie aveva un rapporto speciale. Allora il deus ex machina della politica di Teheran era ancora Alì Akbar Hashermi Rafsanjani e a quanto pare fu suo figlio Mehdi a intascare lucrose tangenti per i contratti della Total. Non solo petrolio ma soprattutto gas, quello dei giacimenti di South Pars che messi a regime potrebbero fornire ogni anno l'equivalente dei consumi europei.

Come direttore della produzione e poi capo della Total, de Margerie puntò sull'Iran ma anche su Iraq, Libia, Qatar, Nigeria. Con risultati lusinghieri ma offuscati dalle vicende di corruzione. Nel 2013 la Total ha dovuto pagare una penale di 400 milioni di dollari negli Stati Uniti dopo un'indagine per tangenti versate in Iran.

Secondo gli inquirenti americani, Total e de Margerie avevano corrotto alti esponenti iraniani con mazzette per 60 milioni di dollari tra il 1995 e il 2004. Una cifra notevole ma tre-quattro volte inferiore a quelle versate in media nell'area Medio Oriente e Nordafrica. Ovviamente tutto questo non poteva assolvere de Margerie che per queste traversie avrebbe dovuto affrontare un processo anche in Francia dove proprio per questa vicenda iraniana nel dicembre era stato fermato per 24 ore. Nel 2013 fu invece assolto per la questione della “oil for food” in Iraq.

L'America, dopo queste vicissitudini, gli stava sul gozzo e poco tempo fa lanciò in un'intervista la sua bordata: «Non c'è alcun motivo di pagare il petrolio in dollari». Più o meno quello che diceva Saddam Hussein e che sostengono gli iraniani. Il Medio Oriente tornava sempre nei suoi discorsi: era stato il trampolino di lancio della sua carriera folgorante e controversa.

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