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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2014 alle ore 09:04.
L'ultima modifica è del 25 ottobre 2014 alle ore 10:49.

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Fa tanto freddo a Kiev, nelle altre città e nelle regioni dell'Ucraina. Il gas è razionato e, malgrado le promesse, l'inverno è arrivato senza riscaldamento. È soltanto l'immagine forse più tangibile di un Paese che sta andando a votare per liberarsi dei propri nemici interni e per cambiare, ma resta alle prese con un'altra grande minaccia esterna, laggiù nelle regioni dell'Est. Come sarà possibile riformare la politica e l'economia per un'Ucraina in guerra? La sfida più grande è tutt'altro che risolta, l'instabilità nelle regioni orientali e la mancanza di un accordo sul gas sono il segno che - in questo momento - è Vladimir Putin a cantare vittoria: l'Ucraina è ostaggio delle decisioni di Mosca.

Va a votare un Paese monco, irriconoscibile rispetto a un anno fa. Non voterà la Crimea, né gli elettori dei distretti di Donetsk e Luhansk controllati dai separatisti antigovernativi: almeno, non quelli che non sono riusciti a fuggire dalle zone di guerra, unendosi alle decine di migliaia di profughi che ora vivono altrove. Per la nuova Rada significa avere una trentina di seggi in meno, per l'Ucraina è un'amputazione.
A scorrere l'elenco dei partiti che si presentano al voto, dove il filo comune è il nazionalismo, sembra difficile che Poroshenko riesca a rafforzare i consensi per il suo tentativo di trovare un'intesa con Putin, per un piano di pace in cui nessuno pare credere. A partire dai separatisti, che malgrado la tregua giurano di riconquistare Mariupol o Slaviansk, località riconquistate dai governativi.
La gente vuole la pace, dicono tutti a Kiev, ma non una pace imposta da Mosca. E la guerra ha scoperchiato geni pericolosi, un nazionalismo che per alcuni è patriottismo ma per altri assume toni più torbidi, estremisti. Come i sospetti sul comportamento crudele di Oleh Lyashko - leader del Partito radicale, secondo nei sondaggi - con i prigionieri filorussi. «Una tendenza pericolosa - spiega un osservatore occidentale - qui di moderati ce ne sono pochi».

Per Poroshenko, che con il suo Blocco guida i sondaggi intorno al 30% dei consensi, sarà più facile trovare nella nuova Rada alleati sul fronte dell'economia, delle riforme e dell'integrazione con l'Europa. La sua "Strategia 2020", disegnata per portare l'Ucraina alle porte della Ue, prevede riforme fiscali, amministrative, lotta alla corruzione, e pochi, almeno a parole, si dicono contrari alle misure concordate con il Fondo monetario internazionale, autore di un bailout da 17 miliardi di dollari, e senza il quale l'Ucraina sarebbe già in default. Ma questa guerra di cui non si vede soluzione - 6 milioni di dollari al giorno il costo, secondo Poroshenko - sta chiedendo all'economia un prezzo molto più alto del previsto: secondo la Banca mondiale, il Pil ucraino nel 2014 crollerà dell'8%, e senza Donetsk e Luhansk il Paese si priva di 5 milioni di persone, di miniere e fonderie, del 15% della produzione e del 27% dell'export. Senza il carbone di Donetsk le fabbriche ucraine si fermano, andando ad aggravare la crisi energetica. Che per Vitaly Klitschko, sindaco di Kiev e alleato di Poroshenko alle urne, è «il prezzo dell'indipendenza»: ma i negoziati per la ripresa delle forniture di gas sono bloccati, in attesa di decisioni che vanno oltre Kiev. Il portafoglio è in mano a Bruxelles, il rubinetto a Mosca.

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