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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2014 alle ore 06:39.
L'ultima modifica è del 29 ottobre 2014 alle ore 08:28.
«Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito»: questo antico proverbio spiega bene la posizione di Cleto Sagripanti sul mercato russo come sbocco della produzione made in Italy.
Il presidente di Assocalzaturifici è convinto che il crollo dell'export di scarpe verso la Russia non sia dovuto alla crisi con l'Ucraina e alle conseguenti tensioni con la Ue e gli Stati Uniti. Il problema è un altro. A Mosca, San Pietroburgo e nelle altre (poche) città dove negli anni scorsi i nostri marchi – anche quelli poco conosciuti in Italia – avevano spopolato, facendo la fortuna di centinaia di Pmi, stanno sparendo i negozi multimarca di lusso, schiacciati dalle grandi catene che vendono scarpe di fascia media e medio-bassa e che si riforniscono in Cina e Turchia.
La soluzione è una sola: continuare a produrre scarpe di lusso, ma per venderle in Cina e Usa a una "nicchia" di consumatori che vale milioni di persone. Per farlo le Pmi avrebbero però bisogno del sostegno dell'Ice. Spariti dalla legge di Stabilità i fondi per il made in Italy, l'obiettivo appare più difficile.
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