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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2014 alle ore 06:56.
L'ultima modifica è del 30 ottobre 2014 alle ore 08:38.

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«Il Corviale, fuori Roma, è conosciuto come il quartiere del Serpentone. È uno dei più degradati della Capitale. In quel deserto, l'esperienza del calcio sociale può essere un granello di cambiamento. Noi ci crediamo». Giuseppe Basta è un consulente di EY, specializzato nella gestione di progetti finanziati da fondi comunitari per i servizi della pubblica amministrazione. Ha 27 anni. Una laurea in Giurisprudenza e un master alla Lumsa, l'università cattolica di Roma. Una passione per il pallone.

Una propensione per il volontariato, che si sta incanalando in uno dei progetti sostenuti dalla Fondazione EY Italia Onlus. Il calcio sociale è una idea di Libera di Don Ciotti, che adesso la fondazione ha deciso di sviluppare. Le regole sono, insieme, semplici e complesse: oltre alle norme del calcio a otto, se ne aggiungono di particolari, come quelle secondo cui durante il gioco i capitani delle due squadre si sostituiscono all'arbitro, mentre nessuno può segnare più di tre gol. Aggiunge Basta: «Al Corviale, il campo c'è. Si trova all. Il tema è il reperimento dei finanziamenti e, poi, l'organizzazione delle partite. Anche questo è, in fondo, una start-up».
Dalla commistione fra il linguaggio consulenziale e la semantica del volontariato, si evince la ratio di questa nuova iniziativa di EY. Provare a portare gli standard e le metodologie dei network internazionali in un mondo composito come quello del Terzo settore italiano. Contribuire, con la propria cultura specifica, a iniziative finalizzate al miglioramento del nostro tessuto sociale, che del non profit ha sempre più bisogno per non implodere. «L'intero progetto è nato un anno e mezzo fa - spiega Daniela Carosio, segretario generale della Fondazione EY Italia Onlus - con l'obiettivo di rendere concreti i valori di EY, non soltanto nella vita economica ma pure nella vita civile del Paese. L'azione è, appunto, su due piani. Il primo è rappresentato dall'intervento concreto sul disagio, che permette di incanalare le energie umane e etiche di un network di 3.600 professionisti che desiderano contribuire a rendere l'Italia un posto migliore. Il secondo piano è costituito dal confronto con i protagonisti del Terzo settore, un mondo variegato formato da fondazioni di impresa, onlus e comunità, così da contribuire a evidenziare i temi critici di una realtà che sorregge l'Italia, ma che resta frammentata e non scevra di criticità e di particolarismi». La Fondazione EY Italia Onlus organizzerà giovedì 4 dicembre alla Fondazione Cariplo di Milano un forum con i protagonisti del settore.

Fra le iniziative concrete, c'è la Young Talents Orchestra EY, una compagine formata da quarantotto musicisti di età fra i 17 e i 26 anni, guidata da Carlo Rizzari. L'11 luglio a Villa Pamphilj a Roma l'orchestra si è esibita per la prima volta in pubblico: l'incasso è stato devoluto ai progetti di Libera (il calcio sociale) e della Comunità di Sant'Egidio (i laboratori musicali a Ostia e nel quartiere romano di Tor Bella Monaca). Il 19 ottobre, nell'Auditorium della Conciliazione a Roma, l'orchestra ha suonato con il violinista Salvatore Accardo. Fra le altre iniziative sostenute, l'Associazione Amici di Cometa Onlus e il Fatebenefratelli di Milano.
In questo primo perimetro di iniziative della Fondazione EY Italia Onlus, si trova anche l'"Education and Entrepreneurship Italia-Haiti", un progetto avviato nel 2011 insieme alla Fondazione Francesca Rava. Andrea Villani è un manager di EY che si occupa di revisione contabile. Ha 32 anni, una laurea in Economia all'università di Pavia e una lunga esperienza nel volontariato laico dell'Avis. «Sono stato una volta ad Haiti - racconta Villani - ed è stato un viaggio molto forte. Altrettanto intenso, però, è l'impegno che si rinnova ogni volta, quando sono gli haitiani, tutti intorno ai 30 anni, a venire a Milano. Partecipano a percorsi formativi di 30 giorni che hanno il loro cuore nella sostenibilità. Cerchiamo di trasmettere loro metodo e nozioni economiche. Quello che non si dimentica è come sono emotivamente questi miei, questi nostri, coetanei, alla fine del mese in Italia. Non tornano ad Haiti solo con un bagaglio culturale più ampio. Tornano a casa, soprattutto, con gli occhi che brillano».

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