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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2014 alle ore 08:01.
L'ultima modifica è del 31 ottobre 2014 alle ore 08:26.

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Sono tanti 1,7 miliardi di sterline (2,125 miliardi di euro) da sborsare per il governo inglese? Lo sono se la richiesta arriva come un fulmine a ciel sereno. E la batosta non è solo finanziaria perché il fulmine è arrivato in un momento in cui l'Ukip, il partito autonomista inglese antieuropeo, è in testa ai sondaggi. E rivela la natura arbitraria della ripartizione del bilancio Ue mettendo l'Unione in cattiva luce. Per il Regno Unito potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso.

Il salasso è frutto del ricalcolo statistico di Eurostat della performance economica del Regno Unito negli ultimi vent'anni. Ma, più a lungo termine, l'onere potrebbe essere più pesante della somma in questione, relativamente ridotta (0,1% del Pil).
La richiesta ha sbalordito il premier inglese Cameron che l'ha definita «del tutto inaccettabile». Per molti euroscettici è l'ennesimo segno della cospirazione ordita dalla Commissione contro il Regno Unito. «Non c'è bisogno del Cluedo per capire che qualcuno è stato colpito con un tubo di piombo nella biblioteca», ha commentato Cameron. Ma forse avrebbe fatto meglio a prendere a esempio la carta «Probabilità» del Monopoli, gioco nato all'epoca della Grande Depressione, che rappresentava l'aleatoria ingiustizia del capitalismo. E non poteva arrivare in un momento migliore per gli antieuropeisti inglesi. Il partito dell'Ukip potrebbe salire al potere alle prossime politiche di maggio 2015 e costringere il governo a indire il suo referendum «dentro o fuori» dall'Ue. Sotto la pressione elettorale, i due grandi partiti inglesi, conservatori e laburisti, stanno già parlando di quote immigrati che sarebbero incompatibili con le leggi dell'Ue e i principi fondamentali dell'integrazione europea. E la reazione emotiva potrebbe portare tanta gente, da un lato e dall'altro della Manica, a concludere che il Regno Unito e l'Ue farebbero meglio a separarsi.

Ma la metodologia del calcolo di bilancio dell'Ue è sbagliata? È logico che il contributo di uno Stato membro al bilancio dell'Ue debba riflettere il livello reale dell'economia. In ogni caso il bilancio totale dell'Ue - l'1 per cento circa della produzione totale dell'Ue - è relativamente modesto ed è rimasto invariato per più di trent'anni. Il ricalcolo cerca di ottenere una fotografia più precisa dell'economia dell'Ue, considerando attività non conteggiate nei conti pubblici nazionali come beneficenza, droga, prostituzione.
Il Regno Unito non è stato l'unico Stato penalizzato. Anche la performance economica dell'Italia si è rivelata migliore del previsto ed è stata chiesta un'integrazione al Belpaese. Il premier Renzi si è unito al coro di indignazione definendo la richiesta «un'arma letale». È più che comprensibile che i governi monitorino e tassino una parte più rilevante possibile dell'attività economica interna. Una valutazione esterna che cerchi di considerare l'economia nel suo insieme, e su quella base calcoli il contributo al bilancio Ue, dovrebbe incrementare la loro efficienza fiscale. La scarsa capacità fiscale è un problema endemico nell'Europa del Sud, per Paesi come l'Italia e soprattutto la Grecia, mentre Francia e Germania, ai quali sono stati accordati grossi abbattimenti, sono più efficienti da quel punto di vista.

Ma perché i calcoli dell'Ue dovrebbero tenere in tanta considerazione i conti nazionali che rappresentano una serie di convenzioni arbitrarie? Se per esempio fosse previsto un salario per il lavoro domestico, il Pil salirebbe senza bisogno di nuove attività. In un mondo razionale, i contributi al budget Ue non sarebbero stabiliti in modo arbitrario, ma in modo automatico con una proporzione fissa di introiti dell'Iva. Solo una piccola parte sarebbe necessaria e non richiederebbe ricalcoli periodici.
Questo modo di calcolare e ricalcolare i contributi degli Stati membri è controproducente. Portato all'estremo, i Paesi membri potrebbero arrivare a richiedere una rivalutazione sulla base dei diversi criteri per misurare il reddito e la ricchezza, mettendo così contro i potenziali Paesi beneficiari con quelli contribuenti. Questo sistema ha già rischiato di spaccare in due alcuni Stati membri come la Scozia o la Catalogna.
(Traduzione di Francesca Novajra)

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