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Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2014 alle ore 08:16.

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Vi sono molti segnali sul rapporto tra ambiente e finanza che vanno oltre la tradizionale disciplina della responsabilità per danni ambientali e conseguente prevenzione e riparazione del danno. Mi riferisco ad un nuovo modo di "pensare" l'ambiente da parte della finanza . Il primo segnale arriva dal Fondo Rockfeller Brothers che ha dismesso ogni asset non ecologico, svincolandosi da partecipazioni in Società che trattano fossili, carbone, sabbie bituminose. Stanno cambiando le regole valutative dei grandi Investitori internazionali come Fondi Pensione e Fondazioni perché il cambiamento climatico è, infatti, oggi un rischio finanziario ed assicurativo sistemico. L'interrogativo allora è: l'Impresa fa la propria parte per contribuire a ridurre questo rischio? Dirotta i propri investimenti sulle energie green?
Maurizio Lullo
Milano
Non sono certissimo che la soluzione di tematiche di vasto impatto sociale spetti alla singola azienda: non si comprenderebbe, altrimenti, perché le imprese, per esempio, non elargiscano salari più generosi per ridurre la distorsione rappresentata dal crescere delle diseguaglianze sociali, che è diventata una questione non meno sensibile dell'ambiente, ancor prima che se ne occupasse Piketty.
In realtà, è la politica che dovrebbe affrontare proprio questo genere di problemi, spesso di proporzioni planetarie. Ma leader all'altezza se ne vedono ben pochi, anche perché gli egoismi nazionali prevalgono facilmente; così, sul piano ambientale, si susseguono i vertici, mentre vengono intaccate alcune presunte certezze scientifiche, ma non si ottengono grandi risultati, semplicemente perché molti Paesi non vogliono rinunciare, anche a costo di notevole disinvoltura ambientale, allo sviluppo e, anzi, considerano gli sforzi dei Paesi sviluppati (e normalmente meno inquinanti) come una forma occulta di protezionismo ai propri danni.
Il che non toglie, naturalmente, che singole scelte di responsabilità non possano che essere ben accolte: nella consapevolezza che la gestione di fenomeni globali non può essere affidata al buon cuore delle imprese. Molte delle quali sanno approfittare molto bene (è il mestiere dei bravi comunicatori) di campagne ben orchestrate per acquistare reputazione, che è oggi uno dei loro asset più preziosi. Ma l'altruismo non è il più forte dei motivatori, come dice il giornalista britannico Philip Stephens: occorre piuttosto incrociarlo con l'interesse, anche a un mondo più sostenibile. Per questo servono tanto una opinione pubblica motivata quanto una leadership, non solo politica, lungimirante (ed entrambe capaci di documentarsi).

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