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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2014 alle ore 14:16.
L'ultima modifica è del 02 novembre 2014 alle ore 14:45.

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È uno scenario desolante del Mezzogiorno quello che emerge dal rapporto della Svimez dedicato all'analisi degli ultimi sei anni. Tanto che bisogna risalire a un secolo e mezzo fa (all'epoca della guerra contro il brigantaggio) per ritrovare, come nell'ultimo biennio, un numero di morti superiore a quello delle nascite; al primo decennio del Novecento per riscontrare un divario tanto marcato col Nord; e agli anni Cinquanta per rilevare un esodo così consistente dal Sud verso l'estero e altre contrade della Penisola.

In pratica, da quando è esplosa nel 2008 la crisi economica da cui non siamo ancora usciti, il Meridione ha accusato una forte regressione di ordine strutturale.
È tornata così a imporsi, dopo che era stata pressoché rimossa dal discorso pubblico, la "questione meridionale". Un lungo ciclo, quello dell'intervento straordinario dello Stato, durato mezzo secolo, s'è definitivamente concluso negli anni Novanta. Peraltro, nel corso del tempo gli stanziamenti pubblici erano stati destinati più al sostegno dei redditi e dei consumi che verso gli investimenti nelle infrastrutture e nelle attività produttive.
Era quindi evidente il pericolo che l'economia meridionale avrebbe accusato un arretramento qualora non si fossero manifestate al suo interno adeguate capacità autopropulsive di sviluppo e competitività. A sorreggerla non sarebbe bastata infatti la presenza di alcune "cattedrali nel deserto" (nel comparto energetico, nella chimica e nella siderurgia) sorte per lo più sotto l'egida della mano pubblica.
Di fatto, a scongiurare la minaccia di una ricaduta fu soprattutto la progressiva espansione delle piccole-medie imprese, anche se non nella stessa misura di quanto stava accadendo al Centro-Nord. Si trattava comunque di un fenomeno sino ad allora inedito per numerose località del Meridione, tanto più in quanto sfociò nella formazione di alcuni distretti manifatturieri operanti in diverse filiere produttive a specializzazione flessibile.
Purtroppo, a interrompere questo processo di segno positivo, anche se non omogeneo, è sopraggiunta negli ultimi tempi una lunga ondata recessiva, che nel Sud, assai più che in altre parti d'Italia, ha falcidiato risorse finanziarie e attività industriali, investimenti e occupazione, risparmi e consumi.

Di conseguenza, le regioni del Mezzogiorno, equivalenti a un terzo del nostro Paese, sono ripiombate nelle spire di una grave stagnazione economica e di un profondo malessere sociale. Tanto che tutte le province del Sud occupano gli ultimi posti nella graduatoria del reddito nazionale procapite e il numero delle famiglie al di sotto della soglia della povertà è aumentato fra il 2008 e il 2013 da 443 mila a 1 milione e 14 mila.
È andata perciò crescendo l'emigrazione, non più di braccia come in passato, ma da parte prevalentemente di giovani provvisti di titoli di studio. Ciò che costituisce una perdita secca, non solo per il Mezzogiorno, in fatto di risorse umane e di attitudini professionali: se si considera che tra il 2007 e il 2012 il numero di laureati in fuga dal Meridione è cresciuto del 50 per cento e che, alla luce dei dati registrati l'anno scorso, sembra destinato a ingrossarsi ulteriormente.
A causa della disastrata situazione economica in cui versa il Sud, e delle pesanti ipoteche che si trascina dietro da tempo, non si può certo pensare che il Centro-Nord sia in grado (anche in quanto ha subito, a sua volta, perdite rilevanti nel settore industriale e in altri versanti) di mantenere l'Italia nell'ambito di paesi più avanzati e di far fronte ai considerevoli impegni per il riequilibrio dei conti pubblici assunti in seno all'Unione europea. Di qui l'esigenza imprescindibile di un salto di qualità che valga ad arrestare il declino del Mezzogiorno e a rilanciare le sue chances.

Dall'agricoltura biologica alla produzione alimentare, dall'energia geotermica ad altre energie rinnovabili, dalla ricerca applicata al turismo, dalla logistica alla sistemazione del territorio, esistono al Sud opportunità e prospettive di sviluppo non ancora perseguite in pieno o in un modo confacente.
È comunque indispensabile che nel contempo venga adottata un'efficace politica industriale: così da destinare alle piccole-medie imprese locali una determinata quota del Fondo Italiano di investimenti, da stabilire particolari incentivi per attività di formazione e innovazione, da sostenere le esportazioni verso mercati emergenti e da agevolare con appropriate misure fiscali gli investimenti esteri. D'altra parte, quale crocevia fra Europa, Nord Africa e Medio Oriente, il Mezzogiorno ha di per sé i requisiti, qualora vengano debitamente valorizzati, per svolgere un ruolo importante negli scambi e nei movimenti di capitale internazionali.

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