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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2014 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 04 novembre 2014 alle ore 08:32.

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Da settimane si parla di un nuovo incontro tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi sulla legge elettorale. Invece non solo il vis a vis non c'è stato, ma i segnali lanciati negli ultimi giorni lasciano intendere che il patto del Nazareno non è più così saldo.

Da Palazzo Chigi ieri sera confermavano che al momento il nome Berlusconi non compare nell'agenda del Premier. Molti tra le fila di Fi e alcuni tra quelle democratiche legano il tramestio pattizio alle vicende giudiziarie di Denis Verdini, il “notaio” del Nazareno, braccio destro del Cavaliere ma anche interlocutore privilegiato di Renzi, che per questo è stato punzecchiato ripetutamente dai suoi oppositori interni a partire da Pier Luigi Bersani.
Verdini ieri è stato rinviato a giudizio per corruzione assieme all'ex sottosegretario Nicola Cosentino nell'ambito dell'inchiesta sulla P3. È il terzo rinvio a giudizio in poco più di tre mesi. A luglio c'era stato quello per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta nell'inchiesta sul Credito cooperativo fiorentino e poi a settembre era arrivato il rinvio per finanziamento illecito. Adesso ci risiamo. E non è stata una sorpresa. Tanto che non viene ritenuta affatto una coincidenza l'aut aut inviato dal vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini che attraverso «Repubblica» avverte: «Fi si decida o su Italicum trattiamo con altri». E quel «si decida» è sulle modifiche alla riforma elettorale.

Renzi vuole il premio di lista ma Berlusconi, dopo averglielo concesso, adesso sta tentando una retromarcia per evitare che il Nazareno si traduca in un «patto leonino» (Brunetta dixit). Ma sul prendere o lasciare di queste c'è anche un'altra interpretazione. Una foto con Berlusconi e Verdini di questi tempi non sarebbe molto popolare per il premier già alle prese con Jobs act, moti di piazza e Legge di stabilità. E poi comincia a non fidarsi della tenuta di Fi, al di là delle rassicurazioni di Berlusconi. Non è solo un'ipotesi. Lo dimostra il dissenso emerso esplicitamente in occasione della riforma costituzionale e la debacle dei candidati azzurri per la Consulta, ultima Alessandra Sandulli, ritiratasi proprio per evitare la fine dei suoi predecessori. Sulla legge elettorale i «no» si moltiplicherebbero. E per due ottime ragioni: il timore di elezioni a breve e l'impossibilità per molti di tornare in Parlamento.
Berlusconi però non può permettersi di rompere con Renzi. Il rischio che il premier «si rivolga altrove» è tutt'altro che infondato anche perché nel centrodestra, fuori da Fi, tutti preferiscono il premio di lista che li rende liberi dall'obbligo di alleanza con il Cavaliere. È vero però che la paura di una fine repentina della legislatura, scenario che diventa più concreto con l'approvazione della legge elettorale, è condiviso dalla gran parte dei parlamentari e, come si è già visto in passato, l'istinto di sopravvivenza è il più forte a resistere.

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