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Questo articolo è stato pubblicato il 07 novembre 2014 alle ore 06:45.
L'ultima modifica è del 07 novembre 2014 alle ore 06:59.

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La decisione della Corte suprema di Tripoli di annullare le elezioni parlamentari del 25 giugno spacca la Libia in due, tra Est e Ovest, Cirenaica e Tripolitania. La guerra civile libica mette con le spalle al muro la comunità internazionale e l'Italia che deve decidere tra la legittimità del governo di Tobruk, in esilio in Cirenaica, e la protezione dei suoi interessi economici ed energetici, situati con i terminali dell'Eni e il gasdotto in Tripolitania. La fine di Gheddafi nel 2011, con la vittoria dei ribelli, ha sprofondato il Paese nel caos. A Tripoli c'è un governo, formato da un'alleanza tra gli islamici e la città di Misurata, non riconosciuto all'estero ma che controlla gran parte dell'Ovest, mantiene l'ordine e protegge la nostra ambasciata, l'unica aperta tra le occidentali. In Cirenaica il governo e il Parlamento usciti dalle elezioni di giugno non controllano nulla ma contano sulla protezione dell'Egitto e delle milizie del generale Khalifa Heftar in lotta contro gli islamisti. Questo è un momento favorevole per cogliere alcune opportunità - ristabilire l'influenza italiana in almeno una parte della Libia - ma è pure una situazione carica di rischi. Qualunque presa di posizione che appoggi Tobruk danneggia la nostra presenza in Tripolitania. Se però ci sbilanciamo troppo su Tripoli rischiamo di perdere la copertura internazionale. I francesi premono a favore del governo in Cirenaica: sono temibili rivali, come abbiamo sperimentato nel 2011 quando decisero l'attacco aereo su Bengasi. Servono equilibrio e nervi saldi per difendere i nostri interessi: la Quarta Sponda non smette di rappresentare per l'Italia uno storico rompicapo. (Alberto Negri)

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