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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2014 alle ore 08:16.

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La capitale tedesca per tre giorni è nuovamente segnata dalla linea che dal 1961 al 1989 ha separato due mondi, un continente, un popolo, una città. Stavolta è una linea leggera, quasi eterea, un confine di 8mila sfere di luce - Lichtgrenze - che nel buio sembrano galleggiare. La nuova ed effimera barriera (domenica sparirà) corre per quindici chilometri da Nord a Sud-Est: Bornholmer Strasse, Mauerpark, poi il Memoriale del Muro in Bernauer Strasse, davanti al Reichstag e alla Porta di Brandeburgo, attraverso Checkpoint Charlie e come capolinea l'East Side Gallery, dove resiste il pezzo di Muro più lungo della città, affacciato sulla Sprea, tutto graffiti, turisti da ogni angolo del mondo e selfie.
La festa è coerente con lo stile e la ragion d'essere di Berlino, una sobria spettacolarità che non nega e nasconde nulla agli abitanti e ai visitatori. È una metropoli trasparente, esibisce le stratificazioni della storia così come i disegni tecnici mostrano in sezione i dettagli di oggetti, case, strumenti e apparecchiature.
Trasparente è la cupola del Reichstag, dalla quale si può osservare l'attività del Parlamento. Stratificato come pochi è il quadrilatero racchiuso tra Leipziger Strasse, Wilhelmstrasse, Niederkirchnerstrasse e Stresemannstrasse, a ridosso di Potsdamer Platz. Qui si concentrano e si toccano pezzi del Muro, che a sua volta delimita il centro di documentazione Topografia del Terrore, l'area in cui sorgevano i centri di comando del Terzo Reich. Si affaccia l'austero e imponente ministero delle Finanze, edificio nazista in pietra arenaria che fu prima ministero dell'Aviazione poi, ai tempi della Rdt, Casa dei ministeri, infine sede della Treuhandstalt, l'agenzia governativa incaricata dopo la riunificazione di privatizzare le aziende dell'Est. E si erge, a completare il quadrilatero, il Martin Gropius Bau, palazzo neorinascimentale di fine '800 che ospita importanti mostre d'arte contemporanea.
Come in nessun'altra capitale europea si può leggere una memoria che è diventata esercizio permanente e rappresentazione testuale. Se il mondo celebra i 25 anni dell'unificazione tedesca ed europea, l'eccentrica Berlino e gli eccentrici berlinesi festeggiano soprattutto la riconquista delle libertà individuali a Est, l'affrancamento da un regime che come quasi tutti i regimi più ottusi e monocordi non percepì nemmeno per sbaglio l'imminenza della propria fine. «È una città che in questi anni ha imparato a convivere con il proprio passato, senza omissioni o rimozioni. È stato relativamente facile perché si è concentrata poco sul presente e molto sul futuro», dice Rory Maclean, lo scrittore canadese che ha eletto Berlino sua seconda patria dopo esservi approdato negli anni 70 al seguito dell'entourage di David Bowie. Autore di un bellissimo libro, Berlin: imagine a city, Maclean racconta la metropoli nei secoli attraverso le sue grandezze e le sue miserie, i suoi eroi e i suoi aguzzini. Una galleria composita dove transitano Christopher Isherwood e Marlene Dietrich, Joseph Goebbels e Albert Speer, Federico il Grande e il padre del neoclassicismo tedesco, l'architetto e pittore Karl Friedrich Schinkel.
Secondo lo scrittore il fascino di Berlino non sta tanto nella sua bellezza - per molti discutibile - quanto nella sua unicità. L'amore più recente è quello dei giovani e degli artisti, che qui hanno trovato la più accessibile e stimolante città d'Europa, una città che a ogni generazione diventa qualcosa di profondamente diverso da ciò che era nella precedente. In 150 anni Berlino è stata la capitale di cinque differenti Germanie: il Reich del cancelliere Bismarck; la Repubblica di Weimar; il Terzo Reich; la Rdt; e la Germania unificata.
L'instabilità è permanente e la reinvenzione di se stessa è continua. Intanto gli strati si accumulano, e ai tratti distintivi degli ultimi decenni - il neoclassicismo di Schinkel, i casermoni prefabbricati e le magniloquenti architetture staliniste dell'Est - si sommano gli edifici futuristi e futuribili del progetto di ricostruzione internazionale. Resistono però, chissà fino a quando, dei vuoti enormi, terreni talmente grandi nel cuore della città che sembrano non appartenere a nessuno. E assieme a loro, quelli che lo scrittore Peter Schneider definisce i veri monumenti di Berlino: gasometri, torri dell'acqua, stazioni deserte, fabbriche e magazzini abbandonati, aeroporti dismessi.
Secondo Giorgio Motta, germanista e professore di liceo, autore per Loescher di un dossier dedicato alla caduta del Muro venticinque anni dopo, questa celebrazione segna un nuovo spartiacque per il popolo tedesco: «Ho ancora davanti agli occhi la festa che Berlino ha dedicato alla nazionale di calcio campione del mondo, la folla oceanica che ha riempito la strada e i prati tra la Porta di Brandeburgo, il Tiergarten e la Colonna della Vittoria. Lì, davanti a quello spettacolo forse effimero, ho capito che il 2014 avrebbe segnato per la Germania l'inizio del dopo-Muro». Resta solo da immaginare, allora, come saranno i prossimi 25 anni e se sarà rispettata la regola del cambiamento epocale a ogni passaggio di generazione.
Lontana è perfino l'Ostalgie, nell'ex Germania Est come in tutti i Paesi post-comunisti, un'apparente nostalgia del passato socialista che oggi, a distanza di sicurezza, si è trasformata in una visione ironica e distaccata della vita sotto il partito unico, con le sue miserie e oppressioni, ma anche con i lampi di dignità che una normale vita quotidiana a volte può offrire sotto qualsiasi regime. L'importante è che del Muro resti la memoria, anche di quello effimero e spettacolare, fatto di sfere luminose per festeggiare il miracolo del 9 novembre 1989: riempiti d'elio, domani sera i saranno liberate dalle loro basi e voleranno come palloncini fino a perdersi nel cielo di Berlino.

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