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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2014 alle ore 14:22.
L'ultima modifica è del 09 novembre 2014 alle ore 14:42.

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Nella percezione dell'Europa il capo dello Stato ha un'importanza cruciale per il suo ruolo di garanzia ma, soprattutto, è una carica con una durata lunga e certa.
Il capo dello Stato è, quindi, un punto di riferimento stabile per sette anni, a differenza dei governi italiani che hanno abituato a tempi non solo variabili ma, spesso, piuttosto brevi. È luce di questa percezione europea sulla stabilità e durata del presidente della Repubblica che i Governi Ue, la Commissione e anche la Bce guarderanno con interesse la partita che si aprirà sul Quirinale. Ed è una attenzione che aumenta perché l'ipotesi di elezioni anticipate italiane è già un tema di discussione nelle sedi politiche europee. Riflessioni esterne che rimbalzeranno anche nelle considerazioni di Matteo Renzi per la scelta dei nomi da candidare: il premier sa bene quanto saranno centrali per l'Italia le prossime sfide. Nei primi mesi del 2015 ci sono due appuntamenti che definiranno l'orizzonte dell'Europa, la sua economia, la stabilità politica. Il primo è sicuramente quello della Banca centrale europea. La battaglia nella Bce si giocherà nei primi mesi dell'anno quando verrà presa una decisione sull'opportunità o no di assumere tra le misure quella del quantitative easing, cioè dell'acquisto di titoli sovrani, che sarà la vera “bomba atomica”, l'unica in grado di disinnescare il condizionamento dei mercati sulla politica con la minaccia del default.

L'altro appuntamento è a marzo quando la Commissione darà un giudizio definitivo sulla politica economica italiana in occasione delle previsioni di primavera: in quel momento si definirà non solo il “destino” dell'Italia ma si avrà una versione definitiva della cercata e osteggiata flessibilità dei patti europei. Sono circostanze esterne che però avranno un impatto diretto e immediato sulle vicende italiane non solo economiche ma politiche.

Tra l'altro le premesse in cui stanno maturando questi appuntamenti si svilupperanno in un quadro che vede l'ipotesi di elezioni anticipate italiane sul tavolo. Non è solo un argomento da Transatlantico ma è un tema che è presente nelle discussioni europee e tra gli operatori dei mercati finanziari. A maggior ragione il ruolo e la personalità del capo dello Stato diventa un punto di riferimento. È un numero di telefono che resterà nelle agende dei vertici europei e internazionali almeno fino al 2022, al netto di eventi imprevedibili. Quello del presidente del Consiglio resta invece soggetto alle oscillazioni a cui la politica italiana ha abituato i protagonisti della scena estera. Giorgio Napolitano – ma prima di lui Carlo Azeglio Ciampi – hanno gestito contesti e tensioni finanziari molto forti e hanno rappresentato un'interlocuzione valida, stabile e affidabile. C'è stato un linguaggio comune, una linea di continuità a cui l'Italia ha abituato l'esterno. Nessuno pensa che ora vi possano essere pressioni o “commissariamenti” che passino attraverso la figura del presidente della Repubblica ma il contesto è davvero mutato rispetto alla prima elezione di Giorgio Napolitano.

Se si passano in rassegna i momenti di fibrillazione finanziaria europea che hanno attraversato la presidenza Napolitano, si vede quanto sia stato centrale lo snodo del Quirinale in un momento in cui la politica si era andata progressivamente sfarinando e scomponendo per poi ridefinirsi dopo il voto del 2013. Un quadro che ora è cambiato ma che conserva alcune incognite. La prima è l'esito dei prossimi appuntamenti europei che non è ancora scritto. E poi ci sono le partite politiche e nessuno si sente di escludere l'opzione elezioni anticipate.

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