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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2014 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 10 novembre 2014 alle ore 08:12.

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«Non avete più alibi», aveva detto il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, all'indirizzo degli imprenditori all'indomani dell'introduzione, a fine maggio, dell'art bonus, lo sconto fiscale per chi aiuta i monumenti. Per il momento l'appello non ha avuto grandi riscontri. Complice la macchinosità dell'agevolazione e il suo scarso appeal soprattutto nei confronti delle aziende: per ottenere uno sconto di 50mila euro, spalmabile in tre anni, occorre avere ricavi per 10 milioni.

Lo dimostrano le elaborazioni predisposte da Confcultura, l'associazione degli operatori privati dei beni culturali, che mettono invece in luce una maggiore convenienza per le persone fisiche, il cosiddetto micromecenatismo.
Sulla fredda risposta dei mecenati può pesare il fatto che la novità debba ancora essere metabolizzata, così come non aiutano i tempi di magra che il Paese attraversa. A una lettura attenta delle regole dell'art-bonus, però, ci si accorge anche che il meccanismo dell'incentivo è meno seducente di quanto sia stato annunciato, soprattutto per quegli imprenditori chiamati a raccolta da Franceschini. Lo si capisce dalle proiezioni che Confcultura ha commissionato a Piergiorgio Re, professore di economia aziendale e dottore commercialista a Torino.
L'art-bonus per le aziende sconta il tetto del 5 per mille del reddito d'impresa, per cui un'azienda con ricavi per 10 milioni può arrivare a donare alla cultura al massimo 76mila euro l'anno, sempre che voglia usufruire dell'agevolazione piena (si veda la tabella sotto). Se si pensa che la misura che prevede la deducibilità totale dal reddito d'impresa delle erogazioni liberali - introdotta nel 2000; articolo 100, comma 2, lettera m) del testo unico delle imposte sui redditi - ha vissuto in tutti questi anni vita grama, raggranellando, nei tempi d'oro, al massimo una trentina di milioni l'anno, si è facili profeti a prevedere che l'art-bonus non avrà miglior sorte. Sperando, ovviamente, di essere smentiti, anche perché il nuovo sconto fiscale va comunque salutato come un importante passo in avanti, a iniziare dal fatto che ha aperto al micromecenatismo.

E, in effetti, la misura congegnata per i contributi delle persone fisiche risulta più accattivante: un reddito di 200mila euro può portare in detrazione 10mila euro l'anno. Non si deve, però, dimenticare che i ricavi oggetto della proiezione rappresentano, nel panorama dei contribuenti italiani, una fetta marginale. Il reddito medio del dipendente va, infatti, poco oltre i 20mila euro annui.
E comunque resta il problema della complessità del meccanismo. «La chiave di volta dell'art-bonus , a cui pure va riconosciuto il merito - commenta Patrizia Asproni, presidente di Confcultura - di aver superato la quota di sospetto con la quale una parte del mondo della cultura guarda al rapporto pubblico-privato, doveva essere una: la semplificazione, anzi la sburocratizzazione dei processi, in modo da transitare verso un concetto più esteso di mecenatismo, che coinvolgesse più imprese, anche piccole e medie, e i privati, così da collocare la cultura al centro di un nuovo modello di sviluppo. Vale a poco lamentarsi della timidezza delle risposte da parte delle aziende né le si può considerare realmente messe alla prova se davanti a loro si erige un muro di burocrazia».

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