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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2014 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 11 novembre 2014 alle ore 08:51.

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Chi si era illuso che la tregua annunciata il 17 ottobre dal Governo nigeriano con il gruppo terrorista islamico Boko Haram potesse porre fine a sei anni di massacri, e restituire le centinaia di studentesse sequestrate in aprile, si è dovuto ricredere. D'altronde chi elegge il fanatismo a regola di vita è da sempre poco incline al compromesso. Lo è l'Isis, lo è il network di al Qaeda, lo sono dunque anche i "Talebani d'Africa".

L'attentato kamikaze contro una scuola (il governo ha accusato Boko Haram), che ieri ha stroncato le giovani vite di almeno 46 studenti, è un atto vile e brutale. Eppure è solo l'ultimo di una lunga serie di crimini efferati, sovente contro i civili, compiuti dai Talebani d'Africa. Contro il terrorismo islamico che si sta rafforzando in Medio Oriente e Africa l'opinione più condivisa è che la risposta militare sia necessaria. Ma non è sufficiente. Negoziare direttamente con questo nemico è spesso inutile. Ma c'è un'alternativa: cambiare l'habitat in cui si nasconde e si nutre la bestia del terrorismo, renderglielo ostile. Lotta alla povertà e alla corruzione, democrazia e istruzione richiedono tempo. Ma non sono sterili esercizi retorici. (Roberto Bongiorni)

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