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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2014 alle ore 08:19.
L'ultima modifica è del 11 novembre 2014 alle ore 08:39.

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Iniziata come la giornata di protesta del mondo della lirica italiana, quella di ieri si è conclusa con alcuni spiragli di apertura su diversi fronti che, pur nella difficoltà del momento, presentano quantomeno dei punti di partenza. A cominciare dall'incontro tra i sindacati e i vertici dell'Opera di Roma, che solo un mese fa aveva annunciato il licenziamento di 180 lavoratori e l'esternalizzazione di coro e orchestra.

Il confronto avviato giovedì scorso con Fuortes è proseguito ieri con alcuni rappresentanti dell'azienda, a cui i sindacati hanno ribadito la disponibilità dei dipendenti (di tutti i settori del teatro) a rivedere l'integrativo in cambio del ritiro dei licenziamenti, «a patto che che la discussione affronti il tema di un nuovo modello produttivo», spiega Alberto Manzini di Slc Cgil. Insomma: sì a una maggiore produttività, purché questa non si traduca in «più recite e meno prove». Il clima sembra comunque costruttivo ed entrambe le parti, che si riaggiorneranno questo pomeriggio, sono intenzionate a trovare una soluzione.
La vicenda dell'Opera di Roma, per essere compresa, va collocata però nel contesto non soltanto di un sistema teatrale in grave difficoltà nel nostro Paese, ma soprattutto in quello dei conti disastrati delle 14 Fondazioni liriche italiane: due soltanto (Scala di Milano e Accademia di Santa Cecilia a Roma, a cui è stata riconosciuta l'autonomia statutaria a inizio ottobre) riescono a chiudere bilanci in attivo grazie a una elevata produttività e al sostegno di sponsor privati. Un sistema «vivo», come lo ha definito alcuni giorni fa Francesco Pinelli, il commissario straordinario incaricato di gestire i piani di rilancio dei teatri d'opera previsti dalla legge Valore Cultura. Ma che ha «un patrimonio limitato per sostenere le proprie attività e un debito importante»: 392 milioni. Un sistema in cui il ruolo dei privati è andato aumentando negli ultimi anni, mentre è diminuito quello dello Stato.

Secondo i sindacati, che ieri sono scesi in piazza a Roma per una manifestazione nazionale unitaria dei lavoratori della lirica, serve «una legge di sistema per la lirica, che ponga fine a una serie di interventi segmentati, che hanno portato a una progressiva destrutturazione del comparto». Un'apertura è arrivata ieri dal ministro Dario Franceschini, che ha ricevuto una delegazione di lavoratori al termine della manifestazione. Lo stesso Franceschini che una settimana fa ha affermato che «14 fondazioni lirico-sinfoniche sono troppe per le risorse del Paese», ieri ha rassicurato sul mantenimento dei finanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo e ha proposto la convocazione di un tavolo tra le parti. La direzione da seguire è quella di un criterio meritocratico: il Fus sarà distribuito tenendo conto della capacità produttiva dei teatri lirici, che da soli assorbono il 47% del Fondo, a cui si aggiungono i 125 milioni di euro stanziati per risanare le Fondazioni che rischiavano il fallimento.

Le turbolenze non risparmiano nemmeno i «fiori all'occhiello» del sistema, come la Scala, dove la Cgil ha proclamato due mezze giornate di sciopero: una venerdì (per aderire alla manifestazione nazionale Fiom) e una il 19 novembre, legata a rivendicazioni interne al teatro e che mette a rischio la recita del Simon Boccanegra. Il sovrintendente Alexander Pereira si sarebbe però dimostrato disponibile ad avviare un confronto per scongiurarlo, con un incontro che potrebbe avvenire già oggi con i rappresentanti della Cgil e con un incontro con tutte le rappresentanze, convocato sabato prossimo.
Gi.M

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