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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2014 alle ore 06:41.
L'ultima modifica è del 14 novembre 2014 alle ore 07:54.

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«Il recente incontro con i parlamentari europei è stato molto positivo perché ci ha permesso di avviare un rapporto proficuo con la nuova Commissione entrata in carica il primo novembre scorso nonché con il nuovo Parlamento, in una fase molto importante anche per la costruzione europea con l'entrata in vigore della nuova vigilanza unica. Ma la nostra ambizione non era solo quella di avere l'attenzione della comunità economica e finanziaria come esponenti di banche e assicurazioni italiani». Luigi Abete, presidente di Bnl e neopresidente della Febaf, l'associazione che raggruppa aziende di credito e compagnie assicurative italiane, tiene molto alla caratterizzazione europea del nuovo mandato.

Che temi avete portato a quel tavolo ?
Abbiamo posto questioni che sono centrali nello statuto Febaf, il cui compito è di pronunciarsi su temi di politica economica. Non solo banche e assicurazioni, dunque, ma volontà di discutere sulle soluzioni concrete per riattivare la crescita economica, in Europa e in Italia e per e per far funzionare al meglio il mercato dei capitali. L'occasione era ideale, visto che crescita e rilancio degli investimenti sono al centro dell'attenzione della Commissione presieduta da Jean Claude Juncker. Del resto, stiamo lavorando attivamente a un'iniziativa sui modi per rilanciare gli investimenti a lungo termine, tema che è anche al centro del G20 di Brisbane, di cui discuteremo in dettaglio il 12 dicembre prossimo con il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan.

Ma come si fa a far sì che il pacchetto di 300 miliardi di nuovi investimenti previsto dal piano Juncker passi anche per il nostro paese?
Sul terreno dei contenuti già prende corpo l'ipotesi che accanto ai campi storici di interesse dell'Unione europea gli investimenti di rete come energia, trasporti, telecomunicazioni saranno presi in considerazione anche gli investimenti rilevanti che ciascun paese potrà mettere all'ordine del giorno. Dal canto nostro ci siamo già attivati per favorire il rilancio degli investimenti attraverso due strumenti.

Quali?
Da un lato abbiamo incontrato la Banca europea per gli investimenti per mettere a fuoco tutte le possibilità che quello che oggi è considerato uno strumento di secondo livello per il finanziamento di progetti per innovazione o infrastrutture possa essere usato anche per finanziamenti diretti. Dall'altro lato, poiché ci stiamo impegnando a fondo, in collaborazione anche con Bankitalia, ministero dell'Economia; Minindustria, Confindustria e altri soggetti istituzionali, sul tema del rafforzamento dei sistemi di garanzia per le piccole e medie imprese, abbiamo proposto ai rappresentanti europei di prevedere che una quota dei fondi strutturali che l'Europa mette a disposizione per il potenziamento di sviluppo e investimenti vada a dei fondi di garanzia. Oggi queste risorse vengono mobilitate solo per progetti specifici. Domani, potrebbero essere attivate anche per garantire quelle imprese che, per le loro dimensioni, sono quelle che oggi rischiano la chiusura e che rischiano di essere lasciate indietro sul terreno dell'accesso al credito anche quando la ripresa ripartirà e le aziende più forti tenderanno ad acquisire maggiori quote di credito.

Che identikit hanno queste imprese?
Sono quelle che vanno dai 20 ai 100 dipendenti e dai 5 ai 25 milioni di fatturato. In Italia per queste aziende gli attuali sistemi di garanzia, che pure hanno visto aumentare in anni recenti le risorse a disposizione, coprono circa 10 miliardi l'anno, che diventano 25 al massimo nel biennio. A fronte di uno stock di crediti erogati verso queste aziende pari a 150 miliardi, la garanzia esiste solo per 25 miliardi. La nostra idea, invece, è che le piccole e medie imprese che ricadono entro certi parametri dovrebbero poter accedere automaticamente ai fondi di garanzia e stiamo studiando le modalità per rendere possibile tale obiettivo.

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